Roma (NEV), 27 luglio 2020 – Una tesi di laurea sulle condizioni di salute dei migranti che arrivano in Italia attraverso i corridoi umanitari della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. L’ha discussa pochi giorni fa, il 21 luglio, la neo dottoressa Greta Delucchi, il relatore è stato il docente Emilio Di Maria, presso l’Università di Genova.
L’idea di questa tesi è nata dal professor Di Maria che da anni si occupa di medicina delle migrazioni e ha proposto uno studio ad hoc sui beneficiari dei corridoi umanitari alla studentessa. Che, da parte sua, nutre un interesse particolare verso questi temi. “Studio arabo – spiega Greta Delucchi, 24 anni, di Sestri Levante – e anche per questo mi sono appassionata da subito al progetto”. Progetto che doveva comprendere una parte di studio “sul campo” che è invece stata svolta online, a causa delle restrizioni dovute al coronavirus, così come la discussione della tesi di laurea.
Ma come stanno, in estrema sintesi, i rifugiati accolti nel nostro Paese? Tra gli aspetti comuni evidenziati nelle persone arrivate in Italia dal Libano con i corridoi umanitari un elemento positivo è l’accesso alla salute: “c’è una buona rispondenza tra i percorsi dei migranti e i servizi sanitari di cui fruiscono sul territorio, dal medico di base al pediatra, fino alle cure specialistiche”. Tutti i rifugiati siriani, insomma, riescono, ad accedere agli ospedali e alle cure di cui necessitano, grazie all’intermediazione della Diaconia valdese e delle strutture che si occupano dell’accoglienza.
E proprio “L’aspetto comunitario dell’accoglienza” sembra essere un altro plus del progetto della FCEI.
I lati negativi che nel lavoro di tesi sono emersi riguardano principalmente “la fragilità psicologica legata alla vita nei campi profughi e al percorso migratorio”.
Come già spiegato anche dal dottor Luciano Griso, responsabile di Medical Hope, il progetto sulla salute nato all’interno di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (qui il suo recente dossier), purtroppo sono molti i rifugiati che, dopo il trauma della guerra, le violenze e la migrazione, presentano patologie psicologiche e/o psichiche.
Nonostante queste problematiche, secondo Di Maria, anche durante e dopo l’emergenza sanitaria del Covid19, “i rifugiati sono da una parte vulnerabili ma dall’altra anche dotati di enormi risorse” psicologiche, umane, che gli hanno permesso in qualche modo di reagire positivamente al lockdown.
“Spero che possa nascere un progetto autonomo e strutturato di raccolta dati e monitoraggio, sulla scorta di quanto svolto grazie a questa tesi – conclude il professor Di Maria -. Questo lavoro sarebbe molto importante anche per sviluppare e migliorare i profili di salute dei candidati beneficiari dei corridoi umanitari”.