Roma (NEV), 17 agosto 2020 – Riportiamo qui di seguito la versione integrale di un’intervista alla pastora valdese Letizia Tomassone andata in onda, in forma ridotta, nella puntata della rubrica radiofonica di RAI Radio1 “Culto evangelico” di domenica 16 agosto. L’intervista riguarda il libro “Donne di Parola. Pastore, diacone e predicatrici nel protestantesimo italiano”, (Nerbini editore, pagg. 168, euro 16) di cui Tomassone è curatrice.
“Donne di Parola”. Pastora Tomassone, cosa significa questo titolo e quale storia descrive?
La Parola, con la “P” maiuscola, nel mondo protestante indica la Parola di Dio. Le donne sono sempre state tenute lontane dalla Parola. In molte chiese a loro è vietata anche la lettura pubblica del Vangelo. Quindi, donne di Parola significa proprio questo: donne che si fanno coinvolgere dalla Parola di Dio e che in qualche modo la restituiscono attraverso una novità che passa per la vita, l’esistenza, la differenza dell’essere donna.
I diversi articoli del libro ripercorrono le tappe e i temi che hanno accompagnato le donne pastore nelle chiese protestanti italiane. Qual è il percorso compiuto e a che punto siamo?
Il mondo protestante italiano ha iniziato la discussione sulla presenza delle donne nei ministeri riconosciuti dalla chiesa a partire dal secondo dopoguerra. Una discussione sollecitata anche dal Consiglio ecumenico delle chiese. E’ però solo nel 1962 che il Sinodo valdese arriva ad aprire alle donne la possibilità di entrare nel ministero ordinato, fino ad allora riservato solo agli uomini. Ci arriva con un forte sostegno delle organizzazioni delle donne evangeliche di allora; con l’appoggio di alcune comunità siciliane molto attive nel sostenere il ministero delle donne. Oggi siamo in una situazione in cui, in Italia come all’estero, nelle chiese valdesi, metodiste, battiste e luterane, abbiamo non solo molte pastore, ma le donne sono presenti anche negli organi di governo della chiesa. Le chiese protestanti storiche italiane hanno seguito questa via e hanno permesso una maggiore ampiezza di predicazione, attraverso parole di donne come di uomini.
In uno degli articoli del libro, i racconta che tra le prime donne pastore valdesi c’è chi si è occupata in modo speciale di migranti, di comunità di migranti. Quali migranti erano?
Sì, è vero. All’inizio alcune pastore sono state inviate in comunità di migranti. Erano migranti provenienti dall’Italia del sud in Germania e in Svizzera, che vivevano una condizione molto difficile, a partire dal fatto che arrivavano spesso senza famiglia. Il punto che motivava questo invio di pastore da parte delle chiese non era tanto il fatto che le donne fossero più attive o sensibili riguardo a questo ambito, bensì che le chiese italiane non vedevano ancora di buon occhio il ministero di una donna e quindi pensavano di poterle inviare in luoghi più marginali. Fu una marginalizzazione dalla quale però emerse una grande ricchezza. L’esperienza in Svizzera e in Germania, raccontata di prima mano nel libro da Giovanna Pons – una delle nostre decane – è davvero emozionante e restituisce il senso di un’epoca – in cui gli italiani erano migranti e in cui le donne muovevano i primi passi verso il, o nel, pastorato.
E’ di qualche settimana fa la notizia che nella Chiesa luterana di Svezia il numero di donne pastore ha superato quello degli uomini. Cosa ne pensa?
Quando il numero delle donne pastore, o altre donne in posizione di governo, supera quello degli uomini, gli uomini si sentono immediatamente marginalizzati. Si parla di femminilizzazione della chiesa e c’è il timore, da parte degli uomini, di non contare più. E si assiste di a una sorta di autoesclusione da parte degli uomini. Questo è un rischio segnalato in molti modi, da diversi studi: gli uomini fanno fatica a stare in un luogo che è un po’ più del solito modellato dalle decisioni delle donne. Questa è una grossa difficoltà: bisogna infatti tener presente il bisogno di un equilibrio di voci maschili e femminili, ma è altrettanto necessario che gli uomini imparino a fare un passo indietro.
Il percorso descritto nel libro e compiuto dalle donne evangeliche può essere di riferimento per le donne di altre confessioni cristiane, per esempio per le donne cattoliche?
“Donne di Parola” contiene anche degli articoli scritti da donne cattoliche. Questo perché con loro compiamo un percorso insieme in quanto teologhe, lettrici della Scrittura, ma anche come attiviste per i diritti delle donne, contro le violenze sui minori e sulle donne all’interno delle chiese. Un percorso nel quale noi evangeliche sosteniamo la richiesta delle donne cattoliche di poter accedere a dei ministeri ordinati, di Parola, all’interno della loro chiesa.
Tra gli articoli del libro compaiono anche una predicatrice locale e una diacona. Quindi non si parla solo di pastore?
Sì, tra le autrici del libro nel libro compaiono anche una predicatrice locale, Erica Sfredda che lo scorso anno ha presieduto il culto di apertura del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, e una diacona, Alessandra Trotta, attuale moderatora della Tavola valdese. Le nostre chiese si distinguono per una varietà di ministeri, anche locali, che sono esercitati da donne e da uomini. In tutti questi ministeri la differenza dell’essere donna ha un peso: significa vedere la realtà a partire da una collocazione diversa. E’ molto importante non tenere nel ghetto le donne, ma rimescolare i discorsi. Quindi essere insieme e superare d’un balzo le divisioni che ci fanno essere o italiane o migranti, o pastore o diacone. Oggi le donne possono essere una forza capace di rinnovare la chiesa e di rispondere all’evangelo con energia nuova.