Roma (NEV), 21 agosto 2020 – Con la puntata di domenica 23 agosto, termina la serie di predicazioni dedicate a sette figure di donne dell’Antico Testamento proposte dal pastore valdese Gregorio Plescan e trasmesse dal “Culto evangelico”, la rubrica di Radio1 RAI in onda ogni domenica alle 6.35.
Storie di donne che devono provare a sopravvivere sole, facendosi forti della loro amicizia, (Noemi e Ruth, 2 agosto); costrette a entrare in conflitto tra loro dalle disuguaglianze della società dell’epoca (Agar e Sara, 9 agosto); capaci di smascherare l’ipocrisia degli uomini per poter affermare il proprio diritto e la propria dignità (Tamar, 16 agosto). E poi alla mercé delle furberie e degli inganni di padri e futuri mariti, come ascolteremo questa domenica, 23 agosto, nella storia di Lia e Rachele.
Al pastore Plescan abbiamo rivolto alcune domande per spiegarci temi e motivazioni delle quattro predicazioni.
Pastore Plescan, non è stata una scelta temeraria, per un predicatore uomo, quella di addentrarsi nelle vicende di sette donne dell’Antico Testamento?
Non credo sia stata una scelta temeraria. Penso che la Bibbia sia la Parola che Dio rivolge all’umanità, indipendentemente dai vincoli di chi l’ascolta. Fra questi vincoli c’è sicuramente il genere, ma anche la condizione economica, la provenienza geografica, la biografia di ciascuno. Ho cercato di ascoltare ciò che dice la Scrittura rispetto alle vicende di queste sette donne, per capire se le loro storie parlano ancora a me, in quanto cristiano del 21° secolo – maschio, bianco, italiano, che ha avuto determinate esperienze di vita… La risposta è positiva: Dio mi parla. Dio ci parla.
Cosa accomuna le storie bibliche che ha raccontato?
Mi verrebbe da rispondere che sono storie riconoscibili, che possono accadere- e magari sono già accadute! – anche a me, a te, a chiunque. Certo non negli stessi identici termini dei racconti biblici, ma nei meccanismi di sopraffazione, nei dolori, nelle speranze che vengono narrate. Un altro filo rosso che mi ha colpito è il fatto che la Bibbia dà la parola a persone che normalmente sarebbero mute. Pensiamo ad Agar e Sara: nel loro tempo individuare una protagonista in Sara era normale – è la moglie del capostipite –, ma Agar, la schiava prima usata e poi buttata via? Non direi! Però agli occhi di Dio nessuno è insignificante, neppure chi si sente insignificante.
Nelle sue predicazioni, più di una volta sottolinea che la Bibbia non è un libro di melensa religiosità ma racconta storie crude, talvolta scandalose, proprio come quelle da lei riprese. Che tipo di libro è la Bibbia?
Credo che la Bibbia piuttosto che presentare vicende edificanti, racconti soprattutto storie vere. Vere non nel senso della loro verità storica – il cui concetto è molto variato dai tempi della Bibbia ai nostri -, quanto piuttosto vere riguardo all’esperienza di vita. La Bibbia ci vuole strappare dall’inutile illusione che la religione abbia solamente a che fare con i sentimenti nobili, con le cose belle e buone – parole che poi hanno un significato molto meno condiviso di quanto ci piacerebbe. La Scrittura ci ricorda invece che Dio ha a che fare con noi, uomini e donne in carne ed ossa. Noi che conosciamo slanci e miserie, gesti eroici e bassezze, che viviamo il fulgore di giornate di sole e gioia, ma anche le lacrime nascoste nel buio della notte. Queste sono le nostre vite e il nostro mondo. Qui è il luogo dove Dio ci incontra.
Queste storie di donne cosa insegnano agli uomini?
Recentemente ho letto uno stimolante articolo di una psicologa umbra che parlava della situazione di molte donne nei nostri paesi, descrivendole come sottoposte a un burqa invisibile. Questa immagine mi ha fatto riflettere, constatando come spesso noi uomini finiamo con l’appiattire quel che ci viene raccontato esclusivamente partendo dal punto di vista maschile. Certo, siamo in grado di mettere in evidenza alcune sfumature, ma sicuramente ne ignoriamo altre e raramente ci lasciamo interrogare da altri punti di vista. Per esempio, nello studiare il brano di Lia e Rachele, in Genesi 29, ho avuto modo di pensare. Come maschi probabilmente lo leggiamo come una storia piccante che magari ci rivela anche la complessità dell’animo umano. Per esempio, ne “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo c’è un episodio simile. Eppure, esiste un altro livello, forse più semplice, più diretto: come ci si può sentire nei panni della sorella di riserva, quali dolori nasconde questo tipo di relazione, quale mutismo dell’anima dimostra un uomo che accetta, anzi, non si rende neppur conto, di avere confuso le due sorelle la prima notte di nozze? Generalmente, tra uomini non ne parliamo. La Bibbia invece ci ‘stana’ e ci costringe a riflettere.
In ognuno dei suoi sermoni, arriva puntuale la domanda: e in questa vicenda, Dio dov’è? Qual è la risposta?
E’ vero, spesso pongo questa domanda. Non è una domanda retorica, né senza risposta. Questi brani mi hanno ricordato che Dio c’è. E’ al fianco delle donne di cui abbiamo letto. Si fa presente permettendo che quelle che paiono piccole cose, fragilità inconfessabili o arroganze vergognose, non travolgano chi ne è vittima, ma diventino invece un modo per affrontare la vita in modo positivo. Sapendo che spesso la vita è complicata ma è sempre accompagnata da Dio. Dio ha accompagnato le donne di questi brani e non smette di accompagnare le donne e gli uomini che si fidano di lui.