150 anni Porta Pia, Valenzi: Fra compromessi, minoranze e nuovi pluralismi

L’avv. Ilaria Valenzi è consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Le abbiamo rivolto alcune domande per comprendere meglio i motivi delle lacune normative sulla libertà religiosa oggi in Italia, a partire da una ricognizione storico-legislativa

Un dettaglio della copertina della pubblicazione sui luoghi di incontro e di preghiera a Roma e Provincia curata da Caritas-Migrantes

Roma (NEV), 17 settembre 2020 – Ilaria Valenzi è consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). L’avv. Valenzi ha inoltre conseguito un dottorato di ricerca in autonomia individuale e autonomia collettiva.

A 150 anni dalla “Presa di Roma”, le abbiamo chiesto di accompagnarci in una sorta di ricognizione storico-legislativa, per comprendere meglio i motivi delle lacune normative sulla libertà religiosa oggi in Italia.

Che significato può aver avuto la breccia di Porta Pia sui rapporti fra Stato e Chiesa in Italia? Il Regno d’Italia ha visto in pratica l’estensione/adesione, anche forzosa, delle leggi del Regno di Sardegna. Quale forza o debolezza giuridica ha avuto secondo lei questo fatto storico?

Il liberalismo si poneva l’obiettivo di ricondurre tutti i rapporti sociali sotto le leggi civili. Il processo di laicizzazione dello Stato unitario era già iniziato con diversi atti legislativi che segnavano il superamento della commistione tra potere civile e potere religioso. Si pensi all’introduzione del matrimonio civile nel 1865, unica forma di celebrazione ad avere rilevanza; all’assoggettamento delle persone giuridiche, anche di origine ecclesiastica, alla disciplina civilistica; all’istituzione di un sistema scolastico pubblico; ai diversi momenti in cui l’insegnamento della religione delle scuole non fu o fu parzialmente consentito; all’eversione dell’asse ecclesiastico, etc.

Con Porta Pia, pertanto, quando fu negato il valore legale degli atti di governo della Chiesa in ambito civile, il terreno era, per così dire, pronto e la questione romana era già aperta. Tuttavia con la legge sulle guarentigie furono riconosciuti al papa gli onori reali, l’esercizio del potere spirituale e, sul suo territorio, anche di quello temporale. Le guarentigie erano perciò già un compromesso rispetto al modello di separatismo liberale, che permise nel giro di qualche anno di affermare uno statuto speciale per la chiesa e per il suo sovrano. Ciò nonostante la legge sulle guarentigie rimane un atto unilaterale, che non fu mai accettato da parte pontificia, che la definiva una legge eversiva.

I Patti lateranensi del 1929, che per anni furono addirittura celebrati come festa nazionale, presentano uno strascico di quanto l’élite cattolica ha cercato di osteggiare anche negli anni successivi, cioè la distinzione fra Stato e chiesa. Distinzione che la politica sabauda antiborbonica aveva, invece, come linea guida. Sia nello Statuto albertino (1848), sia nella Legge delle guarentigie dell’allora Parlamento italiano (1871) che tutelava il cattolicesimo quanto le minoranze, questa distinzione era già netta e la libertà di culto era garantita. Se pensiamo che fino al 1984 nel nostro ordinamento moderno c’era ancora la dicitura che il cattolicesimo era “religione di stato”, sembrerebbe che lo stato italiano sia in ritardo sull’indipendenza fra i due sistemi, politico e religioso. Cosa ne pensa?

In realtà lo statuto albertino all’art. 1 affermava che la religione cattolica era la religione dello Stato e gli altri culti “tollerati”. L’estensione dei diritti civili e politici e l’ammissibilità alle cariche civili e militari senza discriminazione di credo arrivò a breve, con la legge Sineo (1848). Ciò nonostante, nell’idea separatista dello Stato liberale, la libertà religiosa era riconosciuta al singolo sulla base del primato della coscienza individuale. Pertanto il diritto all’espressione di tale libertà era presente nella concezione dell’epoca ed era anche vissuto unitamente allo spirito di laicizzazione dello Stato, che permeava le richiamate riforme di quegli anni.

Con le guarentigie il rapporto tra Stato e Chiesa fu invece subito posto su di un piano di relazioni tra vertici, per cui di fatto ci fu un riconoscimento della natura speciale della Chiesa e della sua superiorità di status rispetto alle altre espressioni religiose. Ciò ha consentito che, in epoca di regime totalitario, la questione fosse risolta su un piano di rapporto tra enti sovrani sotto il cappello dell’ordinamento internazionale. Così quella norma di apertura dello Statuto albertino che, nel periodo precedente, non fu di ostacolo ad un, seppur esiguo, pluralismo religioso, con gli Accordi del Laterano fu riattivata (e fatta propria dal Trattato, fino alla revisione) e gli altri culti furono retrocessi da tollerati ad “ammessi”. In tal senso si può sostenere che l’anomalia della gestione della separazione dei due sistemi aveva radici più antiche dei Patti lateranensi, i quali furono lo strumento adatto per risolvere definitivamente la questione romana, con vantaggio per entrambe le parti.

L’anomalia ancor più significativa, tuttavia, sta nel non aver avuto il Costituente la capacità di emanciparsi dal modello bilaterale pattizio del ’29 fino a farne espressa menzione nell’articolo 7 della Costituzione, insieme al riconoscimento della rispettiva indipendenza e sovranità di Stato e Chiesa. Una limitata portata espansiva del generale principio di uguaglianza di cui all’articolo 8, primo comma, per il quale ci si sarebbe aspettato una formulazione più felice; l’introduzione dello strumento delle intese di cui al terzo comma del medesimo articolo; il mantenimento dell’impianto generale della legislazione sui culti ammessi del ’29 e ’30, che ha finito per costruire un sistema piramidale dei rapporti Stato – confessioni di cui vediamo tutti i limiti.

La “stagione delle intese”, a partire dal 1984, ha visto crescere i diritti per diverse realtà religiose; ma mentre le intese avrebbero dovuto avere il compito di regolamentare quegli aspetti particolari delle confessioni che necessitano di apposito accordo con lo Stato, le stesse hanno finito per diventare un “rifugio” per tutti i diritti anche individuali che, diversamente, non trovano un referente legislativo di tutela (in mancanza di una legge sulla libertà religiosa).

La mancanza di una legge quadro sulla libertà religiosa in Italia, oggi, fa riflettere sul fatto che, forse, la retorica degli anniversari rischia di farci diventare storicamente acritici. Cosa manca oggi per spiegare questa lacuna e cosa possiamo fare, come protestanti, ma anche nei movimenti ecumenici, per favorire un processo di ulteriore laicizzazione e tutela dei diritti di libertà di culto nel nostro Paese?

Manca una diffusa presa d’atto dell’esistenza di un nuovo pluralismo religioso, il quale sempre più richiede che lacune antiche vengano colmate mediante una legislazione sulla libertà religiosa in grado di dare tutela a realtà, anche molto numerose, che ne sono sprovviste. È pertanto necessario continuare a lavorare affinché tale realtà si affermi con tutta la sua portata di ricchezza. La sensibilizzazione verso le realtà minoritarie è certamente una cosa che i protestanti possono fare così come sanno condurre battaglie di giustizia ed uguaglianza nel segno della laicità dello Stato. Il coinvolgimento dei movimenti ecumenici riveste importanza per la possibilità di mettere in discussione quei meccanismi di gerarchia dei poteri che da portato istituzionale diventa un modo di pensare l’altro da sé.


Per approfondire, leggi anche il contributo di Daniele Garrone: Realizzare pienamente la libertà religiosa

Daniele Garrone: “La sfida è duplice, portare a compimento la libertà religiosa e difendere lo spazio pubblico come garanzia di eguali diritti ad ogni cittadino, indipendentemente dalla sua fede o dal suo ateismo, dalle sue concezioni e dal suo orientamento sessuale”

Foto tratta da www.beniculturali.it tramite wikimedia commons