I volti del lavoro a Lampedusa

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Lampedusa ed è stato scritto dall'operatore Niccolò Parigini.

Foto di Niccolò Parigini

Lampedusa (NEV), 9 dicembre 2020 – Mi ricordo che prima di venire a Lampedusa mi sono interrogato diverse volte sul lavoro che stavo per affrontare, non solo su come sarebbe stato a livello umano ma anche sulle mansioni che avrei svolto. Dopo tre mesi, partendo da presupposti diversi, mi pongo queste e altre domande, e spesso trovo risposta nelle parole di un collega “vai in giro e ascolta, non stare solo chiuso in ufficio”.

Il lavoro con Mediterranean Hope (MH), programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, qui a Lampedusa, da quelle che sono attività definite, come la presenza agli sbarchi, alle iniziative che nascono con la società civile, fino a quelle portate avanti dalle operatrici e dagli operatori di MH, impongono di essere messe in discussione, analizzate e a volte trasformate. 

Se è vero che il nostro lavoro orbita attorno alle migrazioni, pensiamo che dall’inizio dell’anno più di 15.000 migranti sono arrivati (e ripartiti) dall’isola, è anche vero che il fenomeno migratorio si manifesta sul territorio sul quale operiamo ed è per questo giusto e non solo necessario collaborare con la società civile locale.

Penso che nulla descriva meglio di aneddoti il lavoro svolto, con una premessa importante, così come il tempo a Lampedusa ha un modo di scorrere “diverso” rispetto ad altri posti, così il lavoro di MH sottostà a quella che potrebbe essere definita una stagionalità, periodi intensi si alternano con periodi più calmi.

Estate: 

Agli sbarchi noi (inteso come società civile), portiamo beni di prima necessità, da una bottiglietta d’acqua nei giorni estivi a una tazza di tè e una coperta termica nelle notti autunnali ma anche un peluche o un giocattolo (donazioni da parte della società civile) per le bambine e i bambini che arrivano. Anche questa è una necessità primaria, la solidarietà e la tenerezza derubate del tempo che manca per comunicare ma che si prendono del tempo per un gesto.

Alcuni momenti sono carichi di tensione, una barca in balia del mare mosso attracca ma c’è difficoltà a far scendere le persone sul molo, in quel momento, in divisa o no, quasi tutti collaborano e aiutano, chi tira una cima, chi tende la mano, chi porta un tè o avvolge una persona in una coperta termica.

Altri momenti, non meno toccanti, con persone che non riescono a stare in piedi, sono alleggeriti da vere e proprie eroine ed eroi, bambine e bambini che tirano un calcio al pallone donatogli da un ragazzo della guarda costiera, al gioco si uniscono alcuni dei presenti e il pallone finito in mare viene ripescato tra l’allegria dei presenti, il prete mostra a un bambino come accarezzare un cane che in quel momento scorrazzava di lì.

Inverno:

Quando il vento si alza e il mare è in tempesta, paradossalmente il tempo scorre lento. I momenti passati a confrontarsi su alcuni temi con una persona che si incontra per strada, quelli spesi a confrontarsi con un associazione locale, sono spesso le basi di idee e progetti che vengono poi attuati. Quando il meteo non permette di accogliere, il tempo viene dedicato a iniziative sull’isola, dal capire come evitare la crescita di erbacce sul campo da calcio della squadra locale, al creare un giardino da quella che era una discarica abusiva. Quando il tempo passa lento, si lavora al mantenimento della memoria di chi qui non è arrivato ma viene seppellito.

Il lavoro qui a Lampedusa è fatto di libertà e creatività, se la prima, per essere concreta, richiede responsabilità, la seconda vuole il confronto del pensiero. 

Considerando che viviamo e operiamo in un contesto tanto piccolo quanto complesso e ricco di contraddizioni, porsi domande sul proprio operato e su cosa fare è quindi un’importante costante della quotidianità di noi operatrici e operatori.