Credenti in bilico. Il commento di Gabriella Caramore

Un’altra riflessione a partire dal libro “Credenti in bilico. La fede di fronte alle fratture dell’esistenza” di Sabina Baral e Alberto Corsani. Caramore: “Ogni nostro atto è un atto creativo, un inizio di qualcosa. E in quanto tale ha a che fare con la spiritualità, se questa viene intesa come un impasto di anima e di forma, di spirito e di carne”

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Roma (NEV), 4 febbraio 2021 – Abbiamo chiesto a Gabriella Caramore di commentare alcuni temi relativi alla fede e alla spiritualità, a partire dal libro “Credenti in bilico. La fede di fronte alle fratture dell’esistenza” (di Sabina Baral e Alberto Corsani, ed. Claudiana).

“I due autori inseriscono la loro riflessione nelle fratture del nostro tempo, dilatate da questa pandemia – scrive Caramore –. Si tratta di un libro scritto con sincerità, con onestà, con coraggio del pensiero, a partire dal loro vissuto di membri di una piccola chiesa minoritaria, il piccolo enclave protestante, che sta riducendo sempre più la sua presenza non tanto nel mondo cattolico, quanto nel mondo secolarizzato in generale”.

Il ritorno di sentimenti religiosi di cui tanto si parla, afferma ancora Caramore, “soprattutto in Occidente, mi sembra che sia davvero effimero, superficiale. Mi sembra di poter affermare che manca, per lo più, un pensiero capace di mettere radicalmente in crisi i propri presupposti, per affrontare la complessità e le sfide di questo tempo. Baral e Corsani almeno ci provano. E lo fanno a partire dal loro cuore interiore”.

Con questa premessa, Gabriella Caramore esplora e amplia la riflessione sulle religioni e sulla spiritualità. Le abbiamo posto alcune domande.

Quali sono, a suo parere, gli elementi divisivi e quelli inclusivi del “fatto religioso”?

Uno dei grossi limiti del “fatto” religioso è che ogni religione si è costruita con un forte senso identitario. Le vicende storiche che hanno scosso, movimentato, che hanno interferito dentro la compattezza di una identità religiosa non sono state sufficienti a dissolverne le difese granitiche. Troppo spesso l’identificazione con una determinata religiosità ha contribuito a fare delle religioni un baluardo di difesa di una identità nazionale, sociale, o individuale.

La fragilità umana ha diversi confini e ci sono diverse strategie, o tentativi, di trasformazione. Cosa ne pensa?

Appunto. La fragilità è la condizione stessa dell’umano. Occorre prenderne coscienza.

Sostenerla, ovviamente, averne cura, trasformarla, qualora sia possibile, in capacità, in forza, in coraggio, in audacia, anche. Ma quando si traduce nel suo opposto – dismisura, tracotanza, autoidolatria – allora si fa veicolo di identità, pericolo per le identità altrui. Ognuno si sente vittima dell’altro, e non fatica a tradursi in carnefice. Per questo occorre cercare di essere e di agire con verità, con senso della misura, con equità.

Lei è sempre stata una attenta cercatrice di narrazioni. Quali sono i dubbi più profondi suscitati dalle sue ricerche? E le maggiori certezze?

La molteplicità delle narrazioni ci dà il senso della immensa varietà delle storie umane. Il limite in cui sono ancora chiuse, mi sembra, le espressioni religiose è il tentativo di una reductio ad unum della propria storia, della propria esperienza, della propria narrazione, come se quelle degli altri non esistessero, o fossero di minor valore, di minore consistenza. Naturalmente è più che legittimo che ciascuno faccia della propria personale storia la chiave di lettura dell’esperienza del mondo. Ma, soprattutto oggi, nel nostro mondo complicato e plurale, se non si tiene sullo sfondo la molteplicità dei linguaggi, la varietà sconfinata delle espressioni dell’umano si rischia di essere dannosi a sé e al prossimo. Basta pensare alla sterminata fioritura di interpretazioni a cui ha dato luogo la vicenda cristiana (non solo le diverse teologie, ma la musica, la letteratura, le arti, le esperienze di vita) per capire che poco senso ha ricorrere a un unico linguaggio, dogmatico, asfittico, incapace di rispondere alle esigenze dei tempi.

La “teologia del fallimento”. Ne ha parlato anche il pastore Luca Baratto nel ciclo di tre predicazioni al Culto evangelico, su Rai Radio 1, con titolo “i falliti della Bibbia”, animato dall’idea che “C’è più da imparare dagli errori che dai successi”. È d’accordo?

Tutta la storia umana è un susseguirsi di conquiste e fallimenti. Basterebbe tenere a mente questo per gioire meno dei propri effimeri trionfi e per cercare di imparare qualcosa dai propri errori. L’errore non è che l’espressione dell’erranza delle nostre vite.

Spiritualità e creatività. Pensa che ci siano dei legami?

Certamente, mi sembra che si possa dire che ciascuno di noi è nato per creare continuamente qualcosa nella propria vita. Diceva Hannah Arendt: “Tutti gli esseri umani sono destinati a morire. Ma gli esseri umani non sono nati per morire, ma per incominciare”. Ogni nostro atto è un atto creativo, un inizio di qualcosa. E in quanto tale ha a che fare con la spiritualità, se questa viene intesa come un impasto di anima e di forma, di spirito e di carne.


Gabriella Caramore è conduttrice radiofonica e saggista. Autrice di numerose trasmissioni radiofoniche, ha condotto il noto programma di cultura religiosa di Rai Radio 3 “Uomini e Profeti”, dal 1993 al 2018. Nel 2012 la Facoltà valdese le ha conferito la “Laurea Honoris Causa” in Teologia.


Per approfondire

Altre riflessioni a partire dal libro “Credenti in bilico”.

Piero Stefani. Dalla cyberteologia alla via del kintsugi – Fede, arte, covid, ecologia, religione. Parla il teologo Stefani, presidente del Segretariato attività ecumeniche.

Sabina Baral: Lo “sguardo poetizzante” nel dire Dio oggi – Dalla “teologia del fallimento” alle domande sulla centralità di Gesù Cristo.


Riascolta su Radio Radicale la presentazione del libro.