Lampedusa (NEV), 16 febbraio 2021 – Nei luoghi di frontiera arrivano persone distrutte: uomini, donne e bambini molto provati da un viaggio estenuante e spesso da un vissuto drammatico. Anni di prigionia e violenze, visibili e invisibili, che lasciano cicatrici impresse sui corpi e nelle storie di ognuno. Spesso assistiamo all’arrivo di persone con disabilità, che raccontano la speranza di una vita inserita nella società, di cui poter essere parte attiva anche grazie all’accesso al diritto alla salute.
Se si considera libera una persona, la si ritiene degna di rispetto e la si concepisce degna di rispetto, perché la si considera libera.
Febbraio 2017 – L’allora presidente del consiglio Paolo Gentiloni, in continuità con i precedenti governi, rinnova con il primo ministro del nuovo governo di unità nazionale di Tripoli, Fayez al Serraj, il Memorandum d’intesa (Mou): come precedentemente sotto Gheddafi, l’Italia formerà il personale, fornirà assistenza e finanzierà infrastrutture per la cosiddetta guardia costiera libica.
Agosto 2019 – Chi sta davanti a me trova il modo di guardarmi negli occhi e pronunciare parole che non avrei mai pensato di poter sentire, specialmente da un ragazzo di vent’anni: “Sono stato schiavo per due anni in Libia”. È stata la prima di tante volte che ho sentito questa frase da giovani persone appena approdate.
Gennaio 2021 – Ho in mente le lacrime di dolore dalla ragazza che tenevo per mano. Non avevo mai visto nessuna donna avere le doglie, prima di quel giorno, eppure mi rendevo conto di cosa stava accadendo dall’espressione contratta sul suo giovane viso. Lei era esausta, disidratata. Non urinava da molto tempo e questo aumentava la sua sofferenza. Io provavo disagio e vergogna per l’assenza del bagno in un molo in cui è prassi l’arrivo di persone, che, dopo giorni trascorsi accovacciate in una barca, ovviamente ne avrebbero necessità.
Febbraio 2021 – Da Lampedusa leggiamo le dichiarazioni della portavoce O.I.M. (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) – UN Migration Safa Msehli. Apprendiamo notizie che riferiscono di circa 1500 persone riportate in Libia nei giorni scorsi. E’ noto ciò che avviene in Libia, conosciamo le condizioni di detenzione delle persone: torture, ricatti, minacce, abusi sessuali, mutilazioni e vendita di esseri umani. Essere riportati in Libia significa essere riportati in un Paese che non riconosce i Diritti Fondamentali dell’Uomo e che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra.
Andiamo a dormire leggendo del naufragio del 13 febbraio: un morto e 22 dispersi. Abbiamo la consapevolezza che potrebbe trattarsi di 23 vittime. L’acqua fredda e le onde molto alte in mare aperto non lasciano facilmente scampo.
In questi giorni, contemporaneamente al cambio di governo nel nostro Paese, compaiono interviste in cui si dichiara che “a Lampedusa ci sarà un’altra musica”. A Lampedusa, come ad ogni frontiera d’Europa, servirebbe sì sentire un’altra musica. Quella che vorremmo sentire però è una musica alta: alta nei contenuti e nei principi.
Vorremmo un canto di Libertà che dovrebbe abitare dentro ciascuno di noi, permettendo di essere se stessi a chiunque, venendo rispettati come singole persone e come comunità, trovando luoghi in cui sentirsi felici e al sicuro.
Libertà e Diritti per tutti e tutte, ecco il titolo del nostro canto.
La Libertà è un principio indivisibile ed è concetto universale: se non c’è libertà per tutti non c’è libertà per nessuno.
In questo mese di febbraio vorrei ricordare un altro febbraio, che sia di augurio per intraprendere sempre percorsi di libertà: 17 febbraio 1848, Lettere Patenti. La prima forma di riconoscimento di libertà nei confronti delle minoranze religiose. L’inizio di un percorso troppo spesso, e ancora oggi, interrotto.
Con le parole che Gianni Rodari dedica ai fratelli Cervi, vorrei fare riferimento alle scelte che ciascuno può intraprendere nella propria quotidianità, con la consapevolezza di una normalità di privilegio e la scomodità di questa posizione. Scegliere di vivere sguazzandoci dentro per restare in superficie: consumare, sprecare, buttare. Sia nelle relazioni, sia nell’uso degli oggetti e del cibo. Oppure scegliere di vivere, o almeno sperare di farlo, toccando la parte scomoda con consapevolezza, rispettando, lottando, parteggiando.
” Ma tu mio popolo, tu che la polvere
ti scuoti di dosso per camminare leggero, tu che nel cuore lasci entrare il vento
e non temi che sbattano le imposte (…)
Nessuno avrà un più bel libro di storia,
il tuo sangue sarà il loro poeta
dalle vive parole,
con te crescerà
la loro leggenda
come cresce una vigna d’Emilia
aggrappata ai suoi olmi
con i grappoli colmi
di sole.”
G. Rodari – Sette Fratelli Cervi.