Roma (NEV), 25 agosto 2021 – “Dopo 20 anni di intervento militare, è chiaro che le strategie statunitensi e internazionali non hanno portato a una pace giusta per il popolo afgano. Come diciamo da tempo, la pace non è assenza di conflitto ma presenza di giustizia. Abbiamo bisogno di nuovi modelli per affrontare le cause profonde dei disordini che portano alla radicalizzazione e per spezzare il ciclo della violenza”. Lo hanno scritto scritto pochi giorni fa, il 17 agosto scorso, in una nota congiunta gli uffici nazionali delle chiese unite di Cristo (UCC) degli Stati Uniti d’America.
“Al popolo resiliente dell’Afghanistan – continuano – diciamo che siamo addolorati con voi e vi sosteniamo. Il vostro paese e le vostre vite sono già state devastate da anni di conflitto che hanno causato la morte di oltre 40.000 civili afgani e 60.000 militari e ufficiali di sicurezza. I costi che avete già sostenuto sono inimmaginabili, e ora la probabile vita sotto il dominio dei talebani comporta la probabilità di ulteriori violenze, brutalità e una restrizione dei diritti umani e civili, in particolare per le donne e le ragazze. Confessiamo il fallimento della nostra nazione nel non aver sostenuto la leadership afgana democratica né trovato un modo per costruire una pace duratura in questi vent’anni. Ci pentiamo del nostro contributo a questo ciclo di violenza. Ci impegniamo a coinvolgere attivamente i nostri politici per fare in modo che la nostra nazione non vi abbandoni”.
Il messaggio alla classe politica statunitense è per un cambio di rotta. “La guerra più lunga d’America ha attraversato quattro amministrazioni e diversi cambi di potere al Congresso. Tutti dobbiamo accettare collettivamente il fallimento nel non aver posto fine a questo conflitto prima e con più successo. Mentre sosteniamo la fine dell’occupazione e delle operazioni militari statunitensi, non dobbiamo voltare le spalle all’Afghanistan né ora né negli anni a venire. Come nazione, abbiamo investito miliardi in approcci eccessivamente militarizzati che non sono riusciti a portare la vera sicurezza necessaria per la pace. Chiediamo un aumento a lungo termine degli investimenti nelle “cose che contribuiscono alla pace” come il sostegno umanitario, l’impegno diplomatico e l’espansione dell’accesso al programma di reinsediamento degli Stati Uniti per fornire rifugio agli afghani in fuga da violenze e persecuzioni”.
Infine, il pensiero ai cittadini Usa coinvolti, a vario titolo, nel conflitto afghano. “Ai nostri militari, ai veterani, ai costruttori di pace, agli operatori umanitari e ai dipendenti pubblici che hanno servito e lavorato per aiutare l’Afghanistan, siamo grati per il vostro servizio e sacrificio. Grazie ai vostri sforzi, molte persone hanno beneficiato di una maggiore sicurezza, istruzione e di una società civile più solida che includeva la leadership delle donne. Chiediamo alle nostre congregazioni di estendere un benvenuto compassionevole per sostenervi nel vostro dolore e trauma. Preghiamo che i semi di speranza e di progresso piantati in questi ultimi 20 anni continuino a mettere radici”.
Per le chiese Usa, “la pace è possibile. Non smetteremo di crederci oggi. Teniamo duro nella speranza che la pace sia possibile e impegniamoci non solo a mantenere in preghiera i nostri fratelli afghani, ma anche concretamente: le nostre chiese accolgano i profughi; le nostre voci siano unite per fare advocacy; i nostri cuori a stabilire partnership e relazioni; e le nostre menti e i nostri corpi per sostenere tutto ciò che contribuisce alla pace”.
Il messaggio è firmato da tre esponenti degli Uffici centrali dell’UCC, John C. Dorhauer, Karen Georgia Thompson, Traci Blackmon e si conclude con una petizione – già firmata da oltre 130 persone – per chiedere alla Casa Bianca di “non voltare le spalle al popolo afghano”.