Roma (NEV), 10 marzo 2022 – Parliamo di politiche energetiche, fotovoltaico, processi chimico-fisici e termodinamica. Eppure capisco. Spiega a parole semplici e con estrema chiarezza Giovanni Battista Appetecchi, ricercatore dell’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile (ENEA). Esperto di elettrochimica e batterie al litio/sodio, Appetecchi è anche membro della Chiesa Battista di Civitavecchia. Oltre alla sua attività professionale e scientifica, ha collaborato più volte a iniziative formative e informative sulla sostenibilità ambientale con la Commissione Globalizzazione e Ambiente (GLAM) della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI).
Serve una strategia lungimirante, da adottare subito, “per ridurre fin da adesso, progressivamente, la dipendenza energetica. Tutelando così l’economia, la politica, i diritti sociali, il clima e la democrazia. Sono le facce di uno stesso poligono. Non puoi toccarne una senza cambiare tutte le facce. Per questo servono politiche che guardino oltre gli interessi delle oligarchie finanziarie che dominano non solo il mondo occidentale”.
Inizia così la conversazione con Giovanni Appetecchi, che continua: “L’Italia non ha mai avuto una politica energetica, ha sempre navigato a vista. Un Paese che voglia essere indipendente dal punto di vista energetico deve avere non solo una visione, ma un piano ben delineato per i prossimi decenni”. Non si tratta, secondo il ricercatore, di schivare gli ostacoli quando si presentano: una crisi petrolifera, improvvisi cambiamenti di mercato o un conflitto, come quello che purtroppo stiamo vivendo tra Ucraina e Russia. Si tratta di avere un piano a lungo termine, senza il quale si può essere esposti a pesanti conseguenze.
Dipendenza energetica e paradossi
“Per quanto riguarda petrolio, carbone e gas – spiega Appetecchi – l’Italia dipende dall’esterno per oltre l’85% di queste risorse. Parlando esclusivamente di gas, siamo dipendenti per oltre il 40% dalla Russia. In una situazione come questa, viviamo in un paradosso: ovvero imponiamo sanzioni economiche allo stesso paese da cui dipendiamo per riscaldare le nostre case, le scuole, gli ospedali, gli uffici e i luoghi di culto”.
Fin dalla Seconda Guerra Mondiale, l’Occidente “ha puntato sui combustibili fossili per il suo sviluppo economico, perché il petrolio costava poco, sembrava essere inesauribile e in mano a paesi (apparentemente) non politicamente forti. L’Italia (a motivo della sua collocazione geo-politica), con la raffinazione del petrolio greggio (vedi raffinerie locate ad Augusta, in Sicilia) si era ritagliata uno spazio importante, a metà tra i paesi produttori di petrolio e i paesi nord-europei dotati di un’avanzata industria petrolchimica. Tuttavia, quando i Paesi arabi hanno iniziato a raffinare direttamente il greggio, la petrolchimica italiana è collassata. Oggi parliamo di energie rinnovabili, ma non c’è mai stato un impulso vero e proprio in tale direzione, in particolare verso la ricerca e lo sviluppo di queste tecnologie”.
Fotovoltaico sul tetto della chiesa. E poi?
Ci sono, poi, altre contraddizioni. Partiamo da un esempio concreto, quello degli incentivi per gli impianti fotovoltaici. Da 11 anni, la comunità battista di Civitavecchia ha installato sul tetto un impianto (finito di pagare lo scorso anno). A causa degli aumenti esponenziali del costo dell’energia, quella immessa nella rete (prodotta dall’impianto) è sottopagata rispetto a quella acquistata dalla rete, creando pertanto uno squilibrio. “Gli incentivi che lo Stato italiano ha dato non sono per la ricerca e lo sviluppo di alternative tecnologiche, ma sono andati (e vanno) in realtà ad arricchire le compagnie (in particolare, quelle cinesi) produttrici di pannelli fotovoltaici”.
Insomma, siamo legati “a un doppio cappio, economicamente e politicamente ricattabili, e dipendenti dall’estero. Basti pensare che il gasdotto che viene dalla Russia è al 50 % di partecipazione dell’ENI”.
Litio: risorsa strategica, ma anche motivo di conflitti
Appetecchi racconta poi delle lobby del gas e del petrolio, di nucleare e scorie, e finiamo a parlare del litio in Ucraina. Hiroko Tabuchi, sul New York Times, scrive che già prima dell’invasione, la ricchezza di litio dell’Ucraina stava attirando l’attenzione globale, con investitori cinesi e australiani che si erano messi in fila (ma che non hanno rilasciato dichiarazioni su eventuali contratti in essere). Il litio è un elemento fondamentale per le batterie e per la transizione energetica, sia per la trazione elettrica che per la diffusione delle energie rinnovabili. Se ne trova in abbondanza nel triangolo Argentina-Cile-Bolivia e in Australia. Scrive Tabuchi: “I ricercatori ucraini hanno ipotizzato che la regione orientale del paese contenga quasi 500.000 tonnellate di minerali contenenti litio, fondamentale per la produzione delle batterie che alimentano i veicoli elettrici. Tale valutazione preliminare, se dovesse risultare esatta, renderebbe le riserve di litio dell’Ucraina una delle più grandi al mondo”.
Non stiamo parlando solo di cellulari, computer e strumenti portatili, alimentati dalle batterie al litio. “Il sistema di accumulo è fondamentale per lo sviluppo delle auto elettriche e delle rinnovabili. L’energia prodotta con le fonti rinnovabili – illustra Appetecchi – è prodotta in maniera discontinua e deve essere accumulata per poter essere utilizzata in maniera efficace. Che sia fotovoltaica, eolica, o anche geotermica, bisogna comunque accumularla e le batterie al litio sono il sistema di accumulo elettrochimico più avanzato in assoluto”.
La dipendenza dai materiali, fra inquinamento e ricerca
Poi, Appetecchi illustra il problema della dipendenza dai materiali, della corsa all’approvvigionamento, dei sistemi di smaltimento, riciclo e recupero e di impatto ambientale. Ma soprattutto, mi dice due cose che non avevo mai sentito: la prima riguarda anche Civitavecchia, uno dei poli energetici più importanti in Italia (se non il più importante), con le sue 2 centrali termoelettriche. “Quasi nessuno parla di inquinamento radioattivo del carbone. Il carbone è originato dalla decantazione/degradazioni di composti organici (animali e vegetali) mediante un processo di fossilizzazione che può superare i 200 milioni di anni (specie per carboni come antracite e litantrace). Pertanto, il carbone presenta un contenuto non indifferente di particelle radioattive (radionuclidi). Durante la combustione del carbone, oltre al particolato nanometrico (che penetra nei pori della pelle), sostanze tossiche e acide, si immettono nell’atmosfera anche sostanze radioattive”. La seconda riguarda la ricerca. È allo studio una batteria al sodio, che potrebbe rappresentare una valida alternativa nel futuro. “Sono le gemelle delle batterie al litio (anche se non hanno le stesse prestazioni), ma il sodio è mille volte più abbondante, è molto meno costoso, non è ‘strategico’, ed è presente nella quasi totalità del nostri pianeta”.
Il primo passo per l’autonomia energetica e la sostenibilità, per Appetecchi, “deve essere politico. Poi tecnologico”. E conclude con la nota dolente. La gestione delle risorse. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rischia di distribuire soldi a pioggia e senza controllo, “e sappiamo che nel nostro Paese, quando ci sono soldi, arriva l’ombra lunga degli amici di amici e delle mafie, come già accaduto nel Sud Italia con i ‘campi’ di impianti fotovoltaici ed eolici”.
Intanto, oltre 40 scienziate e scienziati italiani hanno chiesto al Governo una risposta diversa all’emergenza energetica: rinnovabili, risparmio energetico e mobilità sostenibile. L’iniziativa è portata avanti dal gruppo Minds for One Health (M4OH).