Roma (NEV), 1 luglio 2022 – Il pastore Michel Charbonnier è stato l’unico italiano a partecipare alla riunione del comitato centrale, l’organo di governo, del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC, in inglese WCC), che si è tenuto dal 15 al 18 giugno scorsi a Ginevra, il primo in presenza dopo quattro anni. Unico rappresentante italiano tra 150 persone elette all’assemblea precedente, su 352 chiese rappresentate dall’organismo ecumenico. Si tratta, come ha scritto Charbonnier in un post fb, de “l’organismo probabilmente più rappresentativo della cristianità globale (352 chiese membro per oltre 550 milioni di cristiani) che in quattro giorni è riuscito a fare un enorme lavoro: abbiamo eletto dopo un lungo processo l’ottavo Segretario Generale della storia del WCC, ma anche – e personalmente oserei dire soprattutto – un grosso lavoro di dialogo per arrivare a molte dichiarazioni importanti. Importanti perché forti, non ambigue, concrete, ma al tempo stesso importanti perché espressione comune di chiese così diverse tra loro: immaginate 352 chiese protestanti, ortodosse, anglicane, carismatiche, unite, letteralmente dai quattro angoli del globo, che riescono a dire insieme parole forti su questioni come la guerra in Ucraina, l’emergenza climatica, la situazione umanitaria in Etiopia, su sfruttamento, abusi e molestie sessuali, sulle “minacce a una pace giusta in Israele e Palestina”.
Quali sono stati dunque i punti salienti del summit? In primis, una posizione sul conflitto in Ucraina in cui si definisce la “Guerra incompatibile con Dio”, approvata anche dai rappresentanti ufficiali del Patriarcato di Mosca. “Come chiese siamo chiamate a costruire la pace e per noi questo passa attraverso l’ascolto, il dialogo, il costruire insieme posizioni e dichiarazioni che ci rispecchiano tutti, nonostante le nostre differenze – spiega Charbonnier – . È proprio questa la forza del Consiglio ecumenico. Il valore aggiunto di questo organismo è proprio quello di riuscire a dire delle cose insieme, con il metodo del consenso. A forza di dialogo e di ascolto si è riusciti a costruire una versione che ha convinto tutti”.
Qui il testo integrale della dichiarazione congiunta sulla guerra in Ucraina.
Nel corso delle giornate di lavoro, si è discusso di molti temi e vertenze, dall’urgenza della questione climatica fino ai rapporti tra Palestina e Israele, con un testo in cui le chiese chiedono “la fine dell’occupazione e uguali diritti umani per tutti nella regione”.
“La forza e la debolezza del Consiglio ecumenico – continua il pastore – è che non si tratta di una “super chiesa” che decide e automaticamente impone delle linee da seguire o delle azioni da intraprendere: arriviamo a scelte comuni perché le chiese membro decidono che sono vincolanti, eticamente. Abdicano cioè a un pezzo di sovranità in nome di un impegno per mettere in pratica elementi comuni, ogni singola chiesa nel proprio specifico contesto”.
Che momento sta vivendo dunque il Consiglio ecumenico: come rispondere a chi paventa una sua “crisi”? “Dipende da quali sono le finalità del movimento ecumenico – replica Charbonnier – : se serve a produrre dialogo teologico tra chiese che erano più lontane e piano piano trovano punti in comune, non è quello il luogo. Chi muove critiche al consiglio ecumenico delle chiese spesso sostiene che ormai l’ecumenismo si giochi soprattutto su dialoghi bilaterali. Un ecumenismo inteso come dialogo teologico. Ma da decenni l’ecumenismo significa anche una strada fatta insieme, allude a relazioni che si costruiscono, battaglie condivise sulle quali ci si impegna insieme, tra chiese diverse, dall’accesso all’acqua al decennio contro le violenze di genere. Luoghi di ecumenismo vissuto e in questo senso il Consiglio ecumenico è uno spazio dove si realizzano tantissime iniziative”.
Il comitato si è occupato anche dell’elezione del nuovo segretario generale, Jerry Pillay.
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