Roma (NEV), 6 luglio 2022 – Il viaggio in treno è bellissimo. Una striscia di mare che ti entra dentro, come se fossimo sospesi. Mi viene un sorriso pensando ai vecchi tempi, quando credevo che la Calabria fosse principalmente questo. Il mare, le vacanze ma anche tante difficoltà nell’adattarmi a un contesto così piccolo a volte.
Rosarno. Devo scendere. Con il primo passo fuori dal treno tutto cambia. Baracche con i tetti in lamiera e case abbandonate – o non finite – dipingono la ruralità di un contesto di aperta campagna, trascurato e maltrattato. Un ragazzo mi offre un caffè, lui viene dal Mali e da qualche anno vive a Bolzano. Mi tiene compagnia finché non mi vengono a prendere. Altri ragazzi che, sotto un sole pesante, girano in bici tra salite ripide e indifferenza.
Percorriamo la strada che va dalla stazione all’ostello. Con l’antenna della macchina tocchiamo il soffitto di un tunnel. Qui quasi tutte le strade sono così, con una linea immaginaria che separa le due corsie su cui sfrecciano gli automobilisti che le conoscono a memoria. Stradine piene di curve, strette, strette. Intorno a me distese profonde di verde, coltivazioni varie e tanti rifiuti sul ciglio della strada. Nel centro abitato ci sono cartelli scoloriti che dovrebbero indicarci la via da seguire. L’indicazione di un presidio medico. L’unica cosa bella che vedo su questo percorso è la facciata dell’ostello. Siamo a Eranova, una località del comune di San Ferdinando (RC), tra Rosarno e Gioia Tauro.
Vicino all’ostello sociale, una proprietà abbandonata. Casette piccole con degli orticelli. Un ex campeggio lascia il posto a una pineta, una vecchia area giochi, qualche panchina e una porta da calcio con la rete rotta, in mezzo all’erba. La piazzetta è molto carina. Si intravedono due piccoli sentieri che portano alla spiaggia bianca di granelli spessi. Una parte è circoscritta da una transenna della guardia costiera che indica la possibile presenza di amianto, segnalata da un intervento volontario di pulizia delle spiagge, una delle tante attività di rete che come Mediterranean Hope abbiamo intenzione di replicare.
A sinistra il porto di Gioia Tauro, da cui partono le navi container, il fumo di un inceneritore e fuocherelli nei campi, sparsi qua e là. A destra un fiumiciattolo, più giù una montagna bellissima. Se si guarda oltre il maltrattamento di questa terra meravigliosa, si vede un tramonto indimenticabile, in cui il sole si perde dietro le nubi del vulcano di Stromboli. Se si pensa in grande, con la speranza nel cuore, lo stretto di Messina si sente vicinissimo e le due rive – siciliana e calabrese – sembrano toccarsi. L’acqua torna cristallina e il rumore delle onde rimane lo stesso di sempre, rilassante al punto da liberarti la testa dai pensieri di un mondo che rifaresti daccapo.
“Qui ci sono montagne dappertutto, il mare. Manca un po’ di sale dal punto di vista politico ma c’è tutto quello che serve per fare di questo luogo un esempio di integrazione”, mi risuonano in testa queste parole di Ibrahim Diabate, poeta e operatore di Mediterranean Hope.
Quando entro nell’ostello mi sorprende una Calabria che non conosco, forte. Tutti che si danno da fare, uomini e donne. Chi monta i mobili, chi pulisce gli appartamenti liberi da destinare al turismo solidale, tutte e tutti in movimento fino a tarda sera. Qui c’è sempre tanto da fare. Qui incontro uomini sognatori con tantissime idee, che mettono a disposizione qualsiasi competenza per cambiare un po’ le cose. Qui scopro donne forti, indipendenti e determinate, con una voglia immensa di contribuire a un ambiente decoroso e organizzare iniziative politiche per una presa di coscienza comune, anche attraverso la ricostruzione della memoria.
“La memoria diventa il filo conduttore delle lotte”, mi dice Francesco Piobbichi, disegnatore sociale e operatore di Mediterranean Hope.
E così, fra corsi d’italiano e allenamenti collettivi, pratiche di regolarizzazione e garanzie per i lavoratori braccianti, cene solidali, memoria e azioni sul territorio, questi volti stanchi dei ragazzi che incrociavo per un breve istante, diventano familiari. Iniziamo a conoscerci, a scherzare, a condividere qualsiasi cosa, dalla cura degli spazi a una partecipazione attiva alle iniziative. Mi invitano a cena, mi consolano, mi alleggeriscono, mi insegnano l’arabo. Mi sento trattata come una sorella, mi sento accolta, mi sento a casa.
Dambe So, la ‘casa della dignità’, un esperimento replicabile di economia circolare. Un luogo autonomo che si autofinanzia con la vendita diretta dei prodotti agrumicoli di Sos Rosarno, le donazioni dei turisti solidali – quando i mesi estivi spostano i braccianti altrove – e il contributo di chi ci abita. Un’alternativa abitativa concreta, paritaria e reale che si sostituisce ai milioni di euro spesi per le tendopoli, i containers di ogni genere e le opere di bonifica.
Una casa rispettata e rispettabile per chi prima viveva in un’ex fabbrica o nelle baraccopoli circoscritte dalle forze dell’ordine, dalla spazzatura e dai cani abbandonati…al buio dei lampioni spenti, sotto il ricatto di chi gestisce la forza lavoro, lontano da tutte e tutti, nel silenzio del mio paese che nasconde nell’emergenza e nel potere la negazione dei diritti, umani e dei lavoratori.
La speranza esiste ed è proprio qui, insieme, dove meno te l’aspetti… come un fiore che ti sorprende nascendo tra l’asfalto.