di Peter Ciaccio, Membro del Consiglio FCEI, Presidente dell’Associazione protestante cinema “Roberto Sbaffi” –
Giovanni non sa bene a quale donna guardare: la malinconica e depressa Lidia o la giovane piena di vita Valentina? Parliamo di La notte di Michelangelo Antonioni. La macchina da presa riesce a trasmetterci il fascino di entrambe. La sensualità di Lidia (Jeanne Moreau) e di Valentina (Monica Vitti) è racchiusa nel volto: gli occhi, la bocca, i capelli. Il dilemma di Giovanni (Marcello Mastroianni) è quello di una borghesia ipocritamente casta, che può tollerare l’infedeltà coniugale, ma non la sessualità volgare (aggettivo negativo che deriva, non a caso, dal latino vulgus, cioè dal popolo in quanto classe inferiore).
Prima ancora che Valentina entri in scena, Giovanni e Lidia vagano nella notte milanese e si recano in un night club dove un ballerino e una ballerina contorsionista si esibiscono: lui in mutande, lei in mutande e reggiseno. Sono entrambi neri: i loro corpi sono esposti alla macchina da presa. Parte dello spettacolo è un gioco che fa la donna con una coppa di vino, che passa tra piedi, le gambe, le braccia, finché il vino viene bevuto dalla ballerina a testa in giù, il tutto accompagnato da un malizioso sax. Mentre questo avviene sulla scena, Lidia sorseggia seduta e composta il proprio drink da un bicchiere ordinario.
Era il 1961 e forse ormai sarà difficile rintracciare i nomi dei due ballerini neri, che non è riportato nelle varie pagine internet dedicate a La notte.
Chissà chi erano, da dove venivano, quanto hanno guadagnato. Chissà se sono apparsi in altri film. Eppure il loro corpo è stato esposto più del volto di Moreau e Mastroianni. Oggi non ci facciamo più caso, ma, contorsionismo a parte, né Moreau né Vitti né Mastroianni avrebbero potuto mostrarsi così, almeno non prima di una decina d’anni.
Qual era la differenza tra Jeanne Moreau e l’anonima ballerina? Il colore della pelle che, nel caso di Moreau, coincideva con quello del pubblico cui era destinato il film. È chiaro che il corpo bianco andasse trattato con pudore, mentre il corpo nero poteva essere tranquillamente mostrato: tanto, non vanno nudi in Africa, “loro”?
Anche in un grande film come La notte di un regista sensibile come Antonioni, il corpo nero e anonimo è offerto alla vista del pubblico bianco, è a disposizione dello sguardo bianco. Figurarsi cosa poteva succedere in film più “commerciali”.
Potremmo pensare che questo fosse un peccato degli anni Sessanta, del Boom, dell’Italia borghese che si vuole “Italietta”.
Eppure basta accendere un telegiornale oggi per vedere, ad esempio, i volti dei bambini pixellati, ovvero resi irriconoscibili, protetti dallo sguardo del pubblico. Certo, un progresso. Ma si tratta di bambini bianchi; e cosa succede ai bambini neri? I loro volti e, ancora una volta, i loro corpi sono esposti, e spesso lo sono proprio da parte di chi lavora in loro favore, delle associazioni e organizzazioni che si adoperano per aiutare e sostenere le persone più svantaggiate. Quasi tutte le campagne per combattere le situazioni di fame in Africa mostrano corpi neri. Non hanno un nome, possono essere denutriti o sorridenti e in salute, ma quel che conta è che siano neri. Chi è il destinatario di queste immagini? Lo sguardo bianco. Esattamente come nel 1961.
Questo fine settimana si terrà la prima edizione del Rosarno Film Festival, un piccolo tentativo di uscire da questa dicotomia bianco-nero, perché non è una legge di natura che le immagini debbano essere principalmente offerte allo sguardo bianco.