Roma (NEV), 21 ottobre 2022 – Parliamo di robot e di macchine che parlano fra loro. Parliamo di post-democrazia digitale, di etica e di manipolazioni. E, ancora, di internet dei sensi e di internet delle cose.
Fra approcci apocalittici e approcci entusiastici, la rivoluzione digitale è ormai parte di noi. Le nostre identità, fisiche e digitali, sono intrecciate al funzionamento (o al disfunzionamento) di macchine che acquisiscono e conservano informazioni su di noi, “pensano” e agiscono “come fossero umane”, funzionano in modo logico-razionale. I cosiddetti “Sistemi esperti”, legati all’Intelligenza artificiale (IA), elaborano dati e procedure fino a compiere delle scelte. Eppure, le scelte delle macchine non sono scelte umane. Sono calcoli. E in quanto tali, mancano di emotività e di principi morali. L’etica può essere calcolata? Il filosofo Luciano Floridi, autore fra l’altro del libro “Etica dell’intelligenza artificiale”, parla di etica digitale, di etica degli algoritmi, ma anche di uso criminale dell’IA. Il tema non può che suscitare domande. Il robot rappresenta una protesi alla mano umana o al suo cervello? Si tratta di rivoluzione evolutiva o involutiva? L’Intelligenza artificiale è davvero intelligente?
Le precedenti rivoluzioni, tanto per fare un esempio, hanno coinvolto le masse. Oggi, l’innovazione è nelle mani di pochi che hanno il potere. Le popolazioni, di conseguenza, rischiano di subire il processo senza governarlo e senza controlli.
Il metaverso (fisico? Metafisico? Virtuale? Reale?), tuttavia, interagisce direttamente con noi e il nostro corpo, con i nostri neuroni, con le nostre emozioni, attraverso visori e strumenti, stimolando percezioni e comportamenti. È una stimolazione costruita artificialmente, che può cambiare il battito cardiaco e coinvolge i sensi. Risolve alcuni problemi, ma ne crea altri. Ha un impatto sulla nostra autocoscienza. La macchina “imita”, ma non “è”. La macchina è con noi, interagisce, è nostra creatura, e da noi è posta in condizioni di “creare” a sua volta mondi (multiversi?) e interpretazioni.
Partendo dalla consapevolezza che la macchina non è “Dio”, e che l’intelligenza umana non è (solo) “calcolo”, c’è da dire comunque che il nostro mondo è già trasformato dalla robotica. E, più la utilizzeremo, più dovremo continuare a trasformare anche il mondo fisico, i comportamenti, le competenze. Questa trasformazione rischia di stravolgere forme e spazi, portando con sé una grande quantità di imprevisti, variabili e dilemmi. Occorre imparare a codificare i limiti e i rischi di questo cambiamento. Tra i pericoli in agguato, quello di restarne vittime passive e inconsapevoli. Da anni sentiamo parlare di analfabetismo funzionale, inteso come incapacità di comprendere testi scritti e, quindi, di interpretare e valutare pensieri e conoscenze. Siamo, anche, di fronte al rischio di altri tipi di analfabetismo: emotivo, etico, relazionale. Come dice la neuroscienziata Daniela Lucangeli “basta una goccia di emozione” per condizionare l’apprendimento, in positivo e in negativo. Cosa vogliamo imparare? Cosa vogliamo insegnare?
Su questi argomenti, abbiamo interpellato Ilenya Goss, pastora valdese, teologa, filosofa e medico, nonchè Coordinatrice della Commissione bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi sulle questioni etiche poste dalla scienza alla fede.
Che differenza c’è tra intelligenza artificiale, infosfera e metaverso?
Cerchiamo di fare chiarezza fra queste tre espressioni che sentiamo utilizzare sempre più frequentemente. Intelligenza artificiale indica un settore di studio informatico che si occupa di come progettare software e hardware che consentano a un elaboratore elettronico prestazioni che, quando sono svolte da un essere umano, noi chiamiamo intelligenti. Il termine comincia ad essere utilizzato a partire dagli anni ’50, in particolare da John McCarthy nel corso di un Congresso del 1955, e poi utilizzato attraverso i decenni. Abbiamo visto periodi in cui i forti investimenti e un grande entusiasmo hanno permesso un’accelerazione degli studi sull’intelligenza artificiale. Mi vengono in mente i programmi AlphaGo di Google e Deep Blue di IBM. Poi, a questi periodi di accelerazione degli studi e dei risultati, è seguita un’alternanza con periodi in cui le aspettative sono state un po’ ridimensionate, e sono venuti in luce problemi sia tecnici sia pratici di realizzazione. Inoltre, sono emersi anche temi etici legati alle applicazioni dell’intelligenza artificiale. Alcuni studiosi, oggi, classificano diversi tipi di intelligenza artificiale, che è già una realtà che caratterizza alcuni aspetti del nostro vivere quotidiano.
Per quanto riguarda invece il termine infosfera, esso comincia a circolare a partire dagli anni ‘80 e indica lo spazio dei dati e delle informazioni sia digitali sia analogiche nel quale viviamo, nel quale siamo immersi. Dunque, tutto l’ambiente dei Mass media classici, il cyberspazio, insomma dove viviamo la nostra esperienza online e off line.
Per quanto riguarda il termine metaverso, viene in circolazione a partire dagli anni ’90. In particolare, esso viene utilizzato da Neil Stevenson nel romanzo Snow crash del ’92. Si tratta di uno spazio online in 3D, una realtà virtuale a cui si accede tramite un collegamento attraverso piattaforme. Insomma, un universo di realtà aumentata nel quale si agisce e si interagisce attraverso Avatar. La ricerca in questo settore è legata soprattutto ai giochi. Penso a Second life, ad Axie Infinity o a Decentraland. E, proprio recentemente, abbiamo potuto vedere anche sui canali televisivi delle pubblicità sul metaverso che viene un po’ prospettato come l’orizzonte futuro di sviluppo. Quindi, diciamo che è una realtà di cui si sente parlare insistentemente. Anche questo ha sollevato delle polemiche per via degli enormi investimenti che sono stati fatti di recente in questo settore.
Cos’è, secondo lei, la rivoluzione digitale?
Per rivoluzione digitale si intende un cambiamento progressivo cominciato negli anni ‘50 nei paesi ricchi e industrializzati. Un cambiamento dalla tecnologia e dall’utilizzo di macchine analogiche a una tecnologia digitale. Questa sostituzione, iniziata come un affiancamento, è avvenuta progressivamente. C’è una data interessante da ricordare: la capacità del digitale di immagazzinare i dati e di gestirli ha superato la capacità dell’analogico nel 2002. Quindi, da quel momento in avanti, diciamo il che digitale ha compiuto il sorpasso. La rivoluzione digitale è qualcosa di molto vicino a noi. Potremmo dire che l’abbiamo tra le mani, se pensiamo ad esempio alla presenza in tutte le nostre case, fino a un po’ di decenni fa, di macchine fotografiche che utilizzavano la pellicola. Oggi i nostri smartphone fanno fotografia digitale. Ma potremmo parlare anche di molti altri oggetti di uso quotidiano, dalle cassette su cui registrare, ai film in Vhs, naturalmente sostituite da altre tecnologie negli anni 2000, fino al DVD e ad altri sistemi.
Nonostante le guerre, le pandemie, le crisi economiche, ecologiche, energetiche e sociali, sembra che la realtà virtuale abbia il privilegio di trovarsi in una sorta di “pax tecnologica”, all’interno della quale può arricchirsi e progredire a oltranza. Cosa ne pensa? C’è qualcosa sotto?
Provo a offrire qualche riflessione rispetto a questa domanda così complessa, senza alcuna pretesa di esaurirla. E posso affermare che osservando semplicemente i grandi investimenti che vengono fatti sullo sviluppo del metaverso, della realtà virtuale, che poi è l’evoluzione di Internet, si può rimanere in prima battuta sorpresi dello spostamento di capitali su questa ricerca, mentre il mondo attraversa dei problemi enormi e anche estremamente urgenti.
Ci si domanda il perché di questo tipo di investimenti. In realtà, avendo a disposizione qualche dato molto semplice sulla valutazione del valore economico e finanziario del metaverso (dati che ci vengono proposti dagli analisti), si può subito rendersi conto della ragione di questo fenomeno. Gli analisti valutano che nei prossimi anni il valore economico del metaverso è destinato a crescere esponenzialmente. E così le sue applicazioni in diversi settori, dai social network al gaming, ma anche nel settore dell’educazione, del commercio, dell’intrattenimento, dei viaggi, del turismo. Molteplici applicazioni rendono conto della attrattività del metaverso oggi per la ricerca.
Per i grandi investitori, dunque, l’ordine di grandezza del suo valore è di trilioni di dollari. Questo può dare ragione della sua attrattiva. C’è anche poi da considerare il possibile sviluppo, anche questo previsto dagli analisti, di vari modelli di cripto valuta e quindi dello sviluppo di tutta una economia virtuale di cui oggi forse siamo ancora poco consapevoli, soprattutto per chi non è addentro alla materia, ma che davvero appare come una prospettiva di sviluppo economico estremamente grande. Questa può essere una delle ragioni per cui questi grandi investitori scelgono di portare i loro capitali sullo sviluppo di questo settore.
Cos’è il metaverso secondo Ilenya Goss filosofa?
Questa domanda è di grandissimo interesse dal punto di vista filosofico. Il metaverso, come realtà virtuale nella quale si agisce e interagisce tramite Avatar, ci interroga perché mette in gioco ad esempio il senso dell’identità, ma anche il modo di vivere le relazioni. Esso impatta, in fondo, sul nostro modo di pensare alla domanda kantiana su cosa sia l’essere umano. Questa realtà, già presente, ripropone questo interrogativo con una forza forse senza precedenti.
C’è poi un versante etico che riguarda anche il pensiero filosofico. Vivere in questa rivoluzione culturale è difficile, certamente, ma è anche un’opportunità straordinaria. Il metaverso, ma anche l’infosfera e l’Intelligenza artificiale, hanno un impatto sul vivere associato e sulla democrazia. Conseguentemente, lo hanno anche sul nostro concetto di libertà, cosa da non trascurare. Credo proprio che viviamo in un momento che, dal punto di vista del pensiero filosofico, offre l’occasione all’approfondimento e allo studio. Anzi, più che l’occasione, ci presenta l’obbligo di riflettere e ripensare, rispetto a queste sfide, quali siano davvero i pilastri della riflessione filosofica occidentale.
Cos’è il metaverso secondo Ilenya Goss medica?
Dal punto di vista scientifico in generale, sono affascinata dalla ricerca in questi settori. Dal punto di vista più strettamente medico porterei la mia risposta in direzione dell’Intelligenza artificiale. L’esperienza recente della pandemia ci ha dimostrato come l’utilizzo dell’IA da parte delle aziende di biotecnologia abbia avuto un ruolo rilevante. Penso ai vaccini, ma anche all’analisi dei dati, al programma Moonshot di Microsoft. Ci sono poi altre applicazioni, come la gestione dei dati per la diagnostica predittiva, la riabilitazione, la medicina di precisione e il machine learning, che permette lo sviluppo di modelli predittivi e di cure personalizzate. Sono tecniche prima impensabili. Dal punto di vista medico, tuttavia, sono opportunità naturalmente non prive di rischi. È chiaro che ogni volta che ci troviamo di fronte a un cambiamento, a una rivoluzione, a una innovazione di tipo tecnologico (tanto più applicata a qualcosa di sensibile come la salute), ci troviamo anche di fronte a delle scelte che devono essere operate. A delle attenzioni che devono essere poste. E, dunque, anche a dei limiti che devono essere tenuti presenti perché l’utilizzo di questo potenziale sia per il bene individuale e collettivo.
Ultima domanda. Cos’è il metaverso secondo Ilenya Goss pastora e teologa?
Rispondo a questa domanda suddividendola in due parti. Una un po’ più semplice, più vicina all’esperienza che abbiamo fatto in pandemia. L’altra secondo me ancora più affascinante. Dal punto di vista strettamente pastorale, possiamo dire che nei due anni di pandemia abbiamo sperimentato delle modalità di azione, di riunione online, abbandonando in parte o del tutto la modalità in presenza. Ci siamo dedicati a incontrarci su piattaforme. Il metaverso è un potenziamento di questa modalità di incontro e di azione. E si porta dietro tutti i problemi potenziati.
Dal punto di vista più strettamente teologico, si aprono degli scenari di riflessione e ripensamento di alcune categorie importantissime. Scenari che, per la nostra teologia, non sono neanche tanto procrastinabili. Parto da una constatazione semplicissima. Il metaverso è una realtà virtuale. Il trait d’union tra la realtà virtuale e la realtà reale che noi siamo avviene attraverso l’Avatar. Avatar è un termine sanscrito che indica l’incarnazione di Dio. Questo mi fa subito pensare alla teologia ortodossa dell’icona, dell’immagine come presenza. E naturalmente questo mi porta a riflettere, ad esempio, sulle discussioni intorno alla presenza reale e alla presenza spirituale nel sacramento, che deve essere oggi ripensata anche attraverso una nuova categoria, quella di presenza virtuale. Ecco che, allora, il ripensamento vuol dire accogliere la sfida di questo nuovo rapporto che il metaverso inaugura tra realtà fisica e realtà virtuale. E ci porta anche a riflettere sul senso dell’immagine. Allora ritorniamo al libro della Genesi, dove l’essere umano è pensato e descritto come imago dei, immagine di Dio. E questo essere umano, che oggi costruisce e lavora all’intelligenza artificiale, è pensabile come imago hominis, immagine dell’uomo. Penso che la teologia sia oggi incaricata di ripensare proprio questo rapporto, il senso che noi diamo alle categorie teologiche, alla luce di questa nuova percezione dell’immagine che il metaverso ci propone e forse, per certi versi, ci impone.