Otto Bartning. L’architetto protestante, dalla Bauhaus alle chiese d’emergenza

La chiesa d'acciaio (Stahlkirche), foto Hugo Schmölz (1879-1938) - wiki commons

Roma (NEV), 14 dicembre 2022 – Otto Bartning (1883-1959) è stato un architetto tedesco. Noto, fra l’altro, per aver contribuito alla nascita della Scuola Bauhaus, a lui fu assegnato il compito di sviluppare le cosiddette “chiese di emergenza”, dopo la seconda guerra mondiale. Bartning ha dedicato la sua vita all’integrazione fra artigianato e design e all’utilizzo degli spazi in doppia chiave: funzionalità e comunità. Già nel 1928, Bartning utilizzava materiali e tecniche della moderna costruzione industriale, come è accaduto per la chiesa in acciaio di Colonia, conosciuta come “Stahlkirche”.

“Si trattava di una chiesa costituita da un’unica navata a pianta parabolica con presbiterio rialzato e doppia torre superiore. Venne chiesto espressamente a Otto Bartning di progettare una chiesa che potesse essere ricostruita altrove e perciò l’architetto tedesco decise di utilizzare componenti prefabbricati in acciaio, tra cui colonne rivestite esternamente con rame alte circa 20 m. Gli spazi tra le colonne vennero riempiti con oltre 600 vetrate colorate disegnate dalla pittrice del vetro Elisabeth Coester”. Questa la descrizione della chiesa d’acciaio sulla rivista VilleGiardini, che il 1° dicembre ha dedicato un ampio articolo proprio a Bartning, definendolo “il più importante architetto di chiese protestanti dell’epoca”. Quanto a Elisabeth Coester, anche lei protestante, era esponente dell’espressionismo tedesco. L’artista dipingeva su vetro, creava opere in tessuto, arazzi, paramenti, dipinti, grafiche. Sul sito sh-kunst.de, un articolo mostra alcune delle vetrate di Coester, fra le poche scampate alla distruzione della guerra. Raphael Thörmer invece, su raus-ins-museum.de (blog di uno dei più grandi musei all’aperto d’Europa, LVR Kommern, che in oltre 95 ettari raduna 67 edifici storici della provincia prussiana del Reno), spiega per filo e per segno la straordinaria storia delle “chiese di emergenza” che vedono sempre in Otto Bartning il principale ideatore.

Le “Chiese d’emergenza”

“Come risultato della seconda guerra mondiale – scrive Raphael Thörmer –, più di un terzo di tutte le chiese protestanti furono considerate inutilizzabili nell’aprile 1945. In molti luoghi, i culti si svolgevano in locali temporanei. Uno degli obiettivi dell’organizzazione umanitaria della Chiesa evangelica in Germania (EKD), fondata nell’agosto del 1945, era quello di ridurre al minimo la fragilità architettonica dei locali di culto, mantenendoli liturgicamente dignitosi”.

È proprio in questo contesto che a Bartning veniva affidato l’incarico di sviluppare le “chiese d’emergenza”. Si trattava di realizzare edifici standard, prodotti in serie e in modo economico. Eventualmente, anche con l’aiuto delle stesse comunità per la costruzione. Uno dei meriti riconosciuti a Bartning è proprio quello di aver concepito una nuova tecnologia costruttiva. Il cosiddetto “programma ecclesiastico di emergenza”, riferisce ancora Raphael Thörmer, “è stato finanziato principalmente da organizzazioni religiose internazionali, come il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), la Federazione luterana mondiale (FLM), la Chiesa evangelica riformata americana, la Chiesa presbiteriana e l’organizzazione di soccorso delle Chiese evangeliche della Svizzera”.

Furono costruiti “centri comunitari” e “cappelle della diaspora”, come quella di Overath, costruita nel 1951, e inserita nel 2019 nella rete del Museo all’aperto LVR Kommern. Le chiese d’emergenza erano principalmente destinate a sostituire le chiese completamente o parzialmente distrutte. Le strutture, di due tipi (A e B), potevano prevedere muri fatti di blocchi di cemento e macerie recuperate, ma soprattutto avevano come caratteristiche la possibilità di prefabbricazione e multifunzionalità, integrando l’uso “sacro con l’uso “profano”. Scrive ancora Thörmer: “L’idea centrale era che l’intera vita comunitaria potesse svolgersi in questi spazi. Oltre all’uso puramente cultuale, le chiese svolgono un ruolo importante nel processo di integrazione delle ‘comunità della diaspora’”. Infatti, a causa dell’afflusso di cristiani protestanti espulsi dagli ex territori orientali tedeschi “molte nuove congregazioni protestanti si formarono in aree precedentemente cattoliche… Circa 70 anni dopo la loro costruzione, quasi tutte le chiese di emergenza dell’omonimo programma sono ora sotto tutela come monumenti. Alcune sono conservate nel loro stato originale, altre ricostruite o ricollocate, alcune sono andate distrutte”. Esse sono ancora oggi considerate una testimonianza per il loro importante contributo al processo di riconciliazione.