Roma (NEV), 3 maggio 2023 – Il Segretario generale della Comunione di chiese protestanti in Europa (CCPE-GEKE), Mario Fischer, è intervenuto il 28 aprile scorso durante il Sinodo della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), a Catania.
Fischer ha dedicato un suo ampio intervento ai 50 anni della “Concordia di Leuenberg”, sottoscritta il 16 marzo 1973. Così chiamata dal nome della località svizzera vicino a Basilea dove venne sottoscritto questo atto, la Concordia rappresenta il reciproco riconoscimento e superamento delle storiche divisioni tra luterani e riformati, tappa importante di un percorso che portò alla formazione, nel 2003, della stessa CCPE.
Partendo da alcuni dati storici, Fischer ha poi parlato della struttura e delle attività della Comunione e delle sfide attuali. La CCPE riunisce diverse chiese evangeliche: luterane, riformate, chiese unite. Ne fa parte anche la Chiesa valdese italiana – Unione delle chiese metodiste e valdesi. Dal punto di vista storico, prima della Riforma, ci sono proprio i valdesi, nel 1200. Verranno poi i Fratelli boemi e gli Hussiti, nel XV secolo. Quindi i riformati e infine i metodisti, nel XVIII secolo. Fischer ha citato anche anglicani, ortodossi e battisti.
Il punto cruciale è la diversa interpretazione sulla presenza di Cristo durante la Santa cena. C’è da dire che luterani e riformati non hanno potuto celebrare insieme la Cena per 450 anni. Chiese diverse, milioni di fedeli, che hanno in qualche modo sofferto. “Alla fine della Seconda guerra mondiale – ha detto Fischer – tante persone sono state espulse e poi integrate e rifugiate in altre chiese, ma non potevano celebrare insieme”.
La Concordia di Leuenberg fu fondata, ha spiegato Fischer, “con l’obiettivo di spiegare cosa sia la comunione ecclesiale, come celebrare la Santa cena insieme. Se diciamo che abbiamo la stessa base, la stessa comprensione del vangelo, la stessa dottrina della giustificazione, se affermiamo questo possiamo anche dire che apparteniamo alla stessa chiesa di Gesù Cristo. E che i sacramenti sono battesimo e Santa cena. Quindi, oggi non siamo più legati alle condanne dottrinali del XVI secolo”. È chi vuole restare diviso a dover spiegare perché vuole restare diviso. Chi vuole essere in comunione ecclesiale, ha detto Fischer, non avrebbe bisogno di dare spiegazioni. Questa l’atmosfera in cui nasce la Concordia, che sicuramente non nega le questioni aperte o le spiegazioni su come realizzare la comunione ecclesiale. L’idea non è quella di formare una “super chiesa”, ma di far convergere chiese restando indipendenti: “non vogliamo una stessa liturgia, ma nonostante questo siamo una chiesa unita”. Come intera comunità ecumenica, ha detto ancora, tutte le chiese cristiane devono essere indipendenti, ma in comunione.
Fra i punti chiave della Concordia, secondo Fischer, ci sono la testimonianza e il servizio nel mondo. Serve un “continuo lavoro teologico, anche sulle controversie”; serve un’organizzazione; serve il dialogo. “Non parlo di un dialogo ecumenico – ha affermato il Segretario –. Sui dialoghi ci sono tantissimi documenti, una specie di mausoleo dell’ecumenismo. Nella Concordia era importante iniziare con un atto performativo. Il documento era solo una sorta di ‘contratto di nozze’. Una volta sottoscritto, abbiamo avuto bisogno di tempo per conoscerci e crescere insieme. 50 anni sono un periodo breve per le chiese. Non importa se non siamo d’accordo su tutto, non importa se abbiamo una toga bianca o nera, sono questioni di secondo piano. L’identità è importante, ma non pregiudica il fatto di essere cristiani”.
La Concordia di Leuenberg, dunque, dice che la consacrazione è reciprocamente riconosciuta. Così come la comunione nel culto e la volontà di prendere posizioni evangeliche e agire insieme, in Europa e a livello locale, nelle questioni etiche. La Concordia rappresenta un luogo di riflessione teologica comune, un livello avanzato di colloquio anche dottrinale, che viene poi riportata e discussa nelle assemblee generali e riportata poi alle chiese. La comunione ecclesiale è lo strumento attraverso il quale si può discutere, orientarsi e consultarsi su quale sia la comprensione della chiesa a livello globale, su cosa le chiese evangeliche e protestanti possono portare nel dialogo ecumenico.
Il sito web della Concordia raccoglie, ad esempio, materiali in diverse lingue. Fra questi, gli inni in circa 20 lingue europee, e i vademecum su come celebrare un battesimo in un’altra lingua. “Le traduzioni richiedono termini giusti – ha illustrato Fischer –. Come si risponde in inglese quando ci si sposa? ‘Yes I will’ o ‘Yes I do’? Possono sembrare delle piccolezze, ma sono importanti”.
La Concordia di Leuenberg, ancora, si occupa di promozione dell’unità dei cristiani, di dialogo con il Dicastero papale, promuove colloqui con chiese ortodosse, anglicane, con le chiese di migrazione, quali la Presbiterian Church di Corea, quella del Ghana, con la chiesa protestante malgascia, molto rilevante in Francia, e con le chiese evangeliche di Nigeria, che ha tantissimi membri in Olanda e Paesi Bassi.
Sono molti i progetti portati avanti, per gli orfani, per i diritti umani, per portare la voce evangelica in Europa a livello istituzionale, per informare le chiese nei contesti locali, sui temi più disparati, dal fine vita, alla sessualità, ai matrimoni, alle famiglie. E, ancora, seminari teologici, con il coinvolgimento di giovani, il lavoro a livello internazionale, pubblicazioni…
Fischer ha parlato anche di “teologia della diaspora”, chiedendosi “cosa possiamo imparare? Cos’è la chiesa? Le minoranze resistono se hanno relazioni e collaborazione a livello internazionale”. La CCPE ha 95 chiese membro, in rappresentanza di 40 milioni di persone in Europa, di cui 20 milioni in Germania. L’invito di Fischer è “Better doing less”, cioè “concentrarci su poche cose, suddividendo i compiti, per unire le poche risorse e, in questo modo, avere grande margine di azione”. Come servizio delle chiese e per le chiese, Fischer ha inoltre esortato a continuare a informarsi e a divulgare su quanto le chiese stanno già facendo: dal pluralismo all’accoglienza, ci sono molti temi sui quali le nostre chiese hanno fatto molto. Fra questi, “la migrazione, anche interna europea, e le diverse lingue. Le nostre strutture ecclesiastiche dovranno occuparsi di questo, di forze lavoro e identità che si mescolano. Dobbiamo dare una ‘patria’ alle persone, nelle chiese. C’è poi la questione dei giovani, e di come viene vissuta la chiesa nei diversi paesi. In Romania. In Ungheria. In Scandinavia… Infine, la secolarizzazione. Grande tema della nostra epoca e delle generazioni future, che come chiese dobbiamo avere presenti”.