Torre Pellice (NEV), 24 agosto 2023 – Il 24 agosto del 1572 “Parigi si svegliò – ammesso che qualcuno dei suoi abitanti avesse potuto dormire – in un bagno di sangue. Durante la notte aveva infatti preso avvio una terribile carneficina che sarebbe continuata per i tre giorni seguenti e che in breve tempo si sarebbe estesa ad altre città del regno di Francia”. Lo scrive su National Georaphic Storica José Javier Ruiz Ibáñez.
Venne ritenuta responsabile della strage, conosciuta anche come “massacro di san Bartolomeo”, la regina madre, la cattolica Caterina de’ Medici.
Abbiamo chiesto al pastore Emanuele Fiume, che fra l’altro ha conseguito un Dottorato in storia della chiesa a Zurigo, di commentare questo drammatico momento storico.
Il contesto del massacro è quello di due opposti schieramenti, quello cattolico della famiglia dei Guisa e quello calvinista intorno ad Antonio di Borbone-Vendôme e all’ammiraglio Gaspard de Coligny. Caterina concorda il matrimonio di sua figlia Margherita di Valois con il giovane protestante Enrico di Borbone, re di Navarra, nella speranza di dare stabilità alla Corona. Nei giorni dei festeggiamenti, Coligny viene ferito in un attentato. La stessa notte vengono chiuse le porte della città e si dà il via alla strage. Coligny viene ucciso, il suo cadavere viene lanciato dalla finestra, decapitato e trascinato per la strada. Papa Gregorio XIII, dopo la strage, fa cantare un Te Deum di ringraziamento a San Luigi dei francesi.
“Uno degli elementi più evidenti è rappresentato dal tradimento dell’ospitalità – ha detto Fiume –. La festa di nozze che diventa massacro. Ne segue un bagno di sangue, con i cittadini che cercano gli ugonotti per massacrarli. Come nella Congiura dei Pazzi, o in altri momenti storici, per un giorno la città gronda di sangue, ma il giorno prima e il giorno dopo è tutto uguale. È quello che Sandro Pertini descrive come ‘indegno’ degli esseri umani. Il massacro di san Bartolomeo è espressione di bestialità e del fallimento della diplomazia. La paura, i sentimenti monarchici e quelli anti-monarchici si intrecciano e fanno affondare ogni tentativo di conciliazione – vedi i Colloqui di Poissy, con la regina reggente che mette a confronto il generale dei gesuiti Giacomo Laynez, successore di sant’Ignazio, e Teodoro di Beza.
Questo episodio oggi ci dice che, prima di tutto, non dobbiamo dimenticare. Se è successo, può succedere, abbiamo visto episodi di massacri popolari, ancora in ex Jugoslavia. Certa furia della folla non è superata, diffidiamo. Il massacro degli ugonotti è una pagina poco conosciuta, ma le stragi ci sono ancora, sono altrove, ma accadono. Si potrebbe dire che non era soltanto un conflitto di religione, ma anche un confronto fra diverse forme e concezioni del potere, in un momento in cui la riforma calvinista non costituiva la vera novità, cioè l’assolutismo, ma voleva in un certo senso conservare dei privilegi locali in senso più ‘federalista’, con la Francia dei parlamenti locali. È una tessitura culturale internazionale che il calvinismo, avendo da subito portato uno spostamento di élite a causa delle persecuzioni, ha creato molto presto. Si potrebbe vederci un progetto già europeo, che viene percepito come una minaccia, perché portatore di un altro modo di vedere le cose. Dall’altra parte c’era una dinastia indebolita, che resisteva allo sfacelo. Una Valois che sposa un Borbone diventa il momento critico, a seguito del quale mentre si fa la pace, si fa invece la guerra. In una visione di realtà riconciliata ci sarebbe stato poi un re protestante… ma la storia invece ci racconta, lo vediamo nell’iconografia di gente fatta a pezzi e buttata nella Senna, il via a pogrom locali, che si ripete a Lione e altrove, con la caccia agli ugonotti. Quindi occorre vigilare ancora oggi, perché la storia ci insegna quanto sia facile trovarsi dalla pace alla guerra, dalla festa al sangue”.