Roma (NEV), 16 ottobre 2023 – Pubblichiamo di seguito il testo del sermone del pastore Daniele Garrone, presidente della FCEI, andato in onda ieri, domenica 15 ottobre, all’interno della trasmissione radiofonica Culto evangelico, su Radio Rai Uno. La predicazione è stata pronunciata dal pastore a Lampedusa, il 3 ottobre scorso, in occasione della celebrazione ecumenica in ricordo delle 368 vittime del naufragio di dieci anni fa.
“Non opprimerai il forestiero”. Questo monito viene rivolto a chi è stato a lungo forestiero nella terra d’Egitto, a Israele che è stato ridotto in schiavitù. Alla schiavitù è da poco scampato perché, come dice la voce che Mosè aveva udito dal roveto ardente nel deserto, Dio ha udito il grido degli schiavi e ha visto l’oppressione con cui erano oppressi.
Perché i discendenti degli israeliti dell’esodo dovrebbero non opprimere il forestiero, trattarlo come uno di loro, anzi, amarlo? Per la memoria che devono conservare del loro passato; e non solo conservare, ma trasmettere di generazione in generazione. È questa memoria a far sì che si possa dire: “anche voi conoscete la vita del forestiero”.
“La vita del forestiero” è una delle possibili traduzioni del testo ebraico che potrebbe anche essere tradotto così: l’animo del forestiero; una volta si sarebbe detto l’anima del forestiero. Altri dicono: lo stato d’animo del forestiero o quello che prova il forestiero; oppure il cuore del forestiero. Nessuna di queste traduzioni è sbagliata perché tutte tentano di dare un senso approssimato all’ebraico che usa un termine che in origine indicava l’alito, il fiato, il respiro e, per estensione, l’organo che lo emette. E di lì si passava poi all’idea che l’alito è il principio di vita, di esistenza. Senza alito, senza respiro non c’è più vita. Questa precisione etimologica ci fa pensare a chi continua a morire in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa; a chi nel mare perde il suo respiro.
Voi conoscete, dovreste conoscere, dunque, ciò a cui il forestiero aspira, ciò per cui si affanna, ciò che aveva e purtroppo a volte ancora ha in animo; ciò che ha vissuto per decidere di fuggire e di avventurarsi, costi quel che costi. Voi dovreste conoscere l’affanno della marcia, l’ansimare; lo scoramento di quando si viene mandati indietro; l’anelito a un futuro diverso; il respiro mozzato dalla paura quando qualcuno ti vuole cacciare via. Siccome questo lo conoscete, “non opprimerai il forestiero”.
Noi potremmo subito rispondere che, in realtà, tutto questo non lo conosciamo. E potremmo dirlo per prudenza, anzi, per rispetto: nessuno di noi ha vissuto l’oppressione e la fuga. Piano a dire che sappiamo quel che vuol dire! In fondo, non lo possiamo neanche immaginare che cosa hanno patito e pensato i forestieri in fuga che ogni giorno bussano alle nostre porte. La cosa più seria che possiamo fare è aspettare in silenzio che siano loro a raccontare.
Però possiamo anche dirlo con distacco e sufficienza: io non ne so niente, non sono affari miei; perché dovrei interessarmi? E, inoltre, sono forestieri irregolari, clandestini, non dovrebbero esserci: perché devo sapere di loro? Ma il testo insiste: “anche voi conoscete l’animo del forestiero”. Lo conoscete perché è nella vostra storia, forse anche in quella della vostra famiglia. Non c’è bisogno di andare al museo di Ellis Island, a volte basta interrogare i propri nonni.
Tra il 1861 e il 1985 più di 18 milioni di italiani sono emigrati altrove e non sono tornati. Dopo la Seconda guerra mondiale, decine di migliaia di italiani si sono trasferiti in Belgio, sulla base di accordi tra i due paesi. Nei vent’anni tra il 1951 e il 1971, milioni di italiani del Mezzogiorno sono emigrati al Nord del boom industriale; sono andati in Svizzera in Germania. Nel 1893 i più poveri del misero villaggio dei miei nonni sono partiti per gli Stati Uniti. I loro nipoti o pronipoti, oggi, sono benestanti cittadini che magari vedono di malocchio l’immigrazione ispanica, ma i loro nonni o bisnonni erano dei dreamers, dei sognatori, in cerca di fortuna. I miei nonni, neanche trentenni, emigrarono in Francia – il nonno a Marsiglia, la nonna a Parigi – lasciando mia mamma dai nonni al paese, perché in Francia si guadagnava di più a fare i camerieri che nell’Italia del Duce. E ancora oggi, quasi 100.000 italiani se ne vanno altrove ogni anno. Anche noi conosciamo l’animo dello straniero: è scritto nella nostra storia, è parte della nostra esperienza. E la storia è lì perché noi guardiamo oltre il nostro ombelico; è lì per farci sapere che cosa abbiamo alle spalle, da dove veniamo. È lì perché noi passiamo dalle percezioni, dalle impressioni ai fatti e alla cultura.
Quando viene detto “non opprimerai, tu”, “anche voi conoscete”, c’è uno strano passaggio dal tu al voi. Non è però un errore dei copisti, né una mala accortezza di chi ha scritto queste parole. Dobbiamo invece immaginare i primi destinatari: erano degli emigrati, divenuti schiavi e liberati da quella oppressione, a cui Dio propone un’alleanza, cioè di assumere tutti insieme con Lui un vincolo. Ed essi a questa proposta dicono sì tre volte. Quindi lo fanno coscientemente e liberamente. Così nasce il popolo dell’alleanza: un popolo che è fatto di tanti “tu”, tutti ugualmente liberi e responsabili, che tutti insieme, con la stessa libertà, si sono vincolati ad un patto che viene messo al di sopra dei loro interessi, dei loro umori. Si sono vincolati ad un patto in cui la libertà di ognuno è anche il compito che egli riconosce di avere nei confronti degli altri, liberi come lui.
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