SCHEDA – 40 anni dalla firma dell’Intesa

Roma (NEV/CS06), 14 febbraio 2024 – In occasione dei 40 anni dalla firma dell’Intesa con la Tavola valdese (21 febbraio 1984) pubblichiamo alcuni materiali di approfondimento: la scheda sulle radici storiche dell’Intesa, documenti di archivio e un aggiornamento sui rapporti Stato e Chiese.

Iniziamo con la scheda nev n. 52 del 10 agosto 1984, riportata integralmente in originale. A seguire, una breve cronologia sulle nuove intese e sulla trasformazione del panorama multireligioso in Italia. A fondo pagina, in pdf: la Scheda nev “Le radici storiche dell’Intesa” (1984). Lo Speciale Intesa con il testo completo (1984). Il Bollettino nev del decennale, con dichiarazione di Giorgio Bouchard (1994). Il Bollettino nev del ventennale con dichiarazione di Gianni Long (2004). Il Bollettino nev trentennale con dichiarazione di Eugenio Bernardini (2014).


SCHEDA

LE RADICI STORICHE DELL’INTESA

 “Libertà senza privilegi” è il motto che sembra meglio riassumere l’atteggiamento delle chiese valdesi e metodiste nei riguardi dello stato, e che ha avuto la sua verifica più recente nell’Intesa con lo stato italiano, approvata definitivamente dal Parlamento il 2 agosto 1984. Le radici di tale atteggiamento vanno cercate nella stessa storia dei valdesi e, in un certo senso, dei metodisti. Mentre su questi ultimi sarebbe necessario un discorso a parte, che considerasse il significato di una comunità che si è costituita interamente dal basso e in forte opposizione a una “chiesa di stato” come quella anglicana, la storia dei valdesi costituisce un fenomeno unico: da movimento religioso essi si sono costituiti come chiesa e sono stati poi costretti dalle vicende storiche a farsi anche comunità civile e a trattare con lo stato: non a caso infatti essi si sono definiti come “popolo-chiesa”.

I valdesi nacquero nel XII secolo come uno di quei movimenti di protesta religiosa che si opposero, in tutto il medioevo, al blocco chiesa-impero; e di questi fu uno dei più antichi e senza dubbio il più importante, per diffusione e durata: sorto alla fine del XII secolo come un movimento di “ritorno alla Bibbia”, guidati da Valdo o Valdesio, un ricco mercante convertito di Lione, i valdesi si sparsero rapidamente per tutta l’Europa. Con la loro insistenza sulla povertà e la semplicità evangeliche, organizzandosi su base comunitaria e rifiutando la concezione di una chiesa potente che si era fatta potere politico, i valdesi rappresentarono per oltre tre secoli una netta opposizione al potere politico dominante. E per questo furono perseguitati.

Dopo la piena adesione alla Riforma protestante, che avvenne nel 1532 a Chanforan, i rapporti fra lo stato e le chiese si poneva in termini nuovi. In genere, per le nuove comunità “riformate”, erano gli stessi principi territoriali, o le autorità delle città libere, a prendere delle decisioni in materia ecclesiastica. Ma nelle valli valdesi del Piemonte non esisteva un principe o un signore feudale che si richiamasse alla Riforma. Furono perciò gli stessi montanari valdesi che rivendicarono per sé, direttamente, la libertà di praticare e di diffondere la loro fede. Nacque così quella figura singolare di “popolo-chiesa”, che si poneva in qualche modo, nei fatti, come antagonista rispetto alla società ufficiale del Piemonte di allora, che era una società cattolica, sottoposta al controllo del sovrano e dei vescovi. Così nelle valli valdesi società civile e società religiosa venivano di fatto a coincidere e a vivere tutte e due secondo strutture e sulla base di un’ autorità che provenivano dal basso. Al libero comune montano faceva riscontro la libera parrocchia riformata, il consigliere comunale era spesso la stessa persona dell’anziano laico, responsabile, insieme al pastore, della vita spirituale della parrocchia. Non era una teocrazia, perché cariche e responsabilità erano tenute distinte; ma vi era un parallelismo di compiti e spesso una coincidenza di persone. Per forza di cose gli stessi pastori vennero così ad assumere la funzione di rappresentanti, non soltanto della chiesa, ma anche del popolo. La prima apparizione di questa realtà singolare di un “popolo-chiesa” la troviamo con l’accordo di Cavour, nel 1561, quando i rappresentanti dei comuni valdesi, fra cui due pastori, firmavano col duca di Savoia un vero e proprio accordo politico con il quale questi si impegnava a riconoscere il diritto all’esistenza e la libertà di culto dei valdesi, sia pure nell’ambito ristretto di alcuni comuni delle valli.

Da allora e per altri due secoli e mezzo il “popolo-chiesa” dei valdesi si governò in modo relativamente autonomo sul piano civile e su quello religioso sotto lo sguardo sospettoso e i controlli dei funzionari del duca di Savoia. Questo è vero soprattutto nei momenti di emergenza. Di fronte alle persecuzioni, alla minaccia armata, ai tentativi di genocidio, il “popolo-chiesa” espresse i suoi leaders, che furono a volte dei laici, come Giosué Gianavello, a volte dei pastori, come Enrico Arnaud. Fu soltanto con la Rivoluzione francese che i valdesi ottennero un riconoscimento di parità e diventarono cittadini come tutti gli altri.

Ma neppure la soluzione “giurisdizionalista”, che si fece avanti allora, piacque ai valdesi. Ricordando la loro storia e le sofferenze patite da parte di poteri politici troppo proni alle richieste repressive della S. Sede, animati dalle nuove concezioni di una chiesa che è soprattutto incontro e comunità di credenti, i valdesi preferirono restare una comunità religiosa “povera ma libera” (come disse uno dei loro moderatori) nell’ambito della legge comune. E’ questa la posizione  che essi faranno valere nei confronti dello stato dopo aver ottenuto l’emancipazione civile con le Patenti di grazia di Carlo Alberto del 17 febbraio 1848.

Nel settembre 1849, di fronte a un progetto di legge del ministro degli interni di Vittorio Emanuele II, De Launay, la Tavola valdese rifiutava le offerte di un inquadramento giurisdizionale con una dichiarazione che fa testo anche oggi: “La chiesa valdese, che è tale in virtù della sua regola di fede e della sua costi- tuzione, deve governarsi da se stessa in un modo assolutamente indipendente, secondo i suoi principi, nei limiti del diritto comune; ogni impedimento o restrizione posta dallo stato alla sua attività e allo sviluppo della sua vita interna attenterebbero al suo diritto all’autonomia, la falsificherebbero come chiesa e tenderebbero a distruggerla.”

Questa è rimasta la linea seguita dai valdesi fino ad oggi: né controlli né privilegi. Il periodo migliore fu il quarantennio fra il 1889 e il 1929, dopo l’avvento del codice Zanardelli, quando l’ordinamento italiano si è di fatto ispirato a criteri di separazione fra stato e chiesa con un trattamento paritario di tutte le confessioni religiose.

Invece, con il Concordato e con la legge sui “culti ammessi” del 1929 i valdesi sono stati retrocessi a cittadini di seconda categoria e sottoposti a controlli  che furono, sotto il fascismo e anche dopo, tutt’altro che formali.  Così quando nel 1947 si è presentato alla Costituente il problema di regolare a nuovo i rapporti fra chiesa e stato, i protestanti italiani non hanno nascosto le loro preferenze per una soluzione separazionista. Il Consiglio Federale delle chiese evangeliche inoltrava quell’anno un memorandum nel quale esso ricordava che “i Patti lateranesi…  proclamando l’Italia stato confessionale e la confessione cattolica romana sola religione dello stato, negano l’eguaglianza dei culti e distruggono la neutralità religiosa dello stato”. Fu soltanto più tardi, nel corso di una riflessione che si è protratta fino alla metà degli anni ’70 che i protestanti italiani compresero anche gli aspetti positivi dell’art. 8 della Costituzione: va bene anche l’Intesa, si disse, purché si faccia bene attenzione ai suoi contenuti.

Così quando, nel 1976, si aprì la procedura che doveva portare all’Intesa approvata nell’agosto 1984, i valdesi e con loro i metodisti che avevano nel frattempo realizzato l’integrazione delle due chiese, furono pronti per una Intesa che attuasse il più possibile, nei contenuti specifici, i principi a loro cari della separazione fra lo stato e la chiesa.


Questa sopra riportata è la scheda nev n. 52 del 10 agosto 1984.

Negli anni a seguire, i principi costituzionali cominciarono a trovare una prima attuazione.

L’Intesa, il nuovo Concordato e il protocollo sugli enti ecclesiastici hanno rappresentato una nuova stagione nei rapporti fra le confessioni religiose e lo Stato italiano. Sino al 1993 giungono altre 5 intese: Assemblee di Dio in Italia (ADI); Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (UICCA); Unione Comunità Ebraiche in Italia (UCEI); Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia (UCEBI); Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI).

In questa nuova fase, la Corte costituzionale è intervenuta più volte e la stessa giurisprudenza ha preso atto del pluralismo religioso che andava sempre più definendosi come costitutivo del nostro Paese.

Negli anni 2000 arrivano altre intese, alcune delle quali aspettavano da tempo. Si tratta di quelle della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale, della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, della Chiesa Apostolica in Italia, dell’Unione Buddista italiana (UBI) e dell’Unione Induista Italiana. Ultimi in ordine di tempo l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (IBISG) nel 2015 (approvata nel 2016) e l’Associazione “Chiesa d’Inghilterra” nel 2019 (approvata due anni dopo).

L’Intesa con la Chiesa valdese (che nel 2024 celebra gli 850 anni del movimento di Valdo di Lione) può definirsi come apripista di un percorso giuridico e culturale che, ancora oggi, mette al centro la libertà religiosa. Libertà religiosa che vede nell’intercultura, nel dialogo e nell’universalità dei diritti i suoi elementi fondanti.


Qui tutte le Intese: Governo Italiano – Le intese con le confessioni religiose

Qui l’articolo NEV del 16 febbraio 2024: Intesa Stato/Valdesi. Intervista a Sergio Bianconi (nev.it)


ALLEGATI

SCHEDA NEV radici storiche Intesa (1984).

Speciale Intesa e testo completo (1984).

Bollettino NEV del decennale con dichiarazione di Giorgio Bouchard (1994).

Bollettino NEV del ventennale con dichiarazione di Gianni Long (2004).

Bollettino NEV del trentennale con dichiarazione di Eugenio Bernardini (2014).