40 anni dalla prima Intesa. Intervista a Roberto Mazzola

Breve viaggio nella storia di un evento unico per il Diritto e per i principi costituzionali di libertà religiosa, fino alle intese “fotocopia”, alle intese “fantasma” e alle grandi assenti di uno strumento sempre più politico e discrezionale

Un dettaglio della copertina della pubblicazione sui luoghi di incontro e di preghiera a Roma e Provincia curata da Caritas-Migrantes

Roma (NEV), 21 febbraio 2024 – Oggi si celebrano i 40 anni dalla firma dell’Intesa fra lo Stato e la Tavola valdese. Abbiamo intervistato il prof. Roberto Mazzola, giurista, Ordinario di Diritto ecclesiastico e Diritto interculturale presso l’Università del Piemonte Orientale, già Direttore del Forum Internazionale Democrazie e Religioni.

Facciamo un viaggio nel tempo, al giorno della storica firma. Dal suo punto di vista, come è stato recepito questo accordo, 40 anni fa?

40 anni fa si trattò di un evento unico, non solo per la Tavola valdese, ma anche per quanto riguarda la storia del diritto. È stata una prima volta, dall’entrata in vigore della Costituzione italiana, il 1° gennaio 1948, in cui si realizzava questa sorta di patto. Infatti, mentre il concordato era pre-esistente alla massima legge della Repubblica, anche rispetto allo stato unitario (e anche nel diritto europeo era un istituto già noto), una “intesa” non si era mai vista. Vale la pena ricordare che fu Umberto Terracini, fra i costituenti, a volere fortemente l’articolo 8 (che inizialmente doveva essere un comma dell’articolo 7). Proprio per “compensarlo”.

Non c’era una storia precedente, e fu anche grazie al lavoro di Giorgio Peyrot che si diede quindi attuazione a un principio che era scritto, ma non applicato. Indubbiamente quell’Intesa, e poi quelle che sono seguite, hanno accresciuto il livello di tutela del diritto alla libertà religiosa previsto dall’articolo 19 della Costituzione. Tutto nasce da un’idea che fa del pluralismo un elemento essenziale e sostanziale delle nostre democrazie, questo lo ripete più volte anche la Corte costituzionale. Cioè, una democrazia è tale nella misura in cui garantisce tante forme di pluralismo, e ovviamente anche il pluralismo religioso. Quindi da questo punto di vista è stata una vera e propria svolta.

“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. Art. 7

 

“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. Art. 8

Come può essere interpretata quell’Intesa oggi?

L’accesso all’istituto dell’intesa non è regolato da norme e non esiste una procedura. Come sancito anche dalla Corte costituzionale, la sua attivazione è a discrezione del governo. La sentenza 52 del 2016 della CC coglie alcuni aspetti. Essa parla di atto politico, e non giuridico, legittimando quindi totale discrezionalità politica in materia. Anche una volta chiusa e ratificata un’intesa, non vi è obbligo di presentare il relativo disegno di legge, e sappiamo che ci sono anche intese “fantasma” e confessioni assenti, nonostante la loro significativa presenza nel panorama pluralista italiano, ad esempio, rispettivamente, i Testimoni di Geova e l’islam.

Oggi possiamo osservare delle distorsioni nel sistema. Da un lato, ci sono le “intese fotocopia”, che da un lato mantengono la ratio di evitare maggiori discriminazioni, almeno per gli aspetti della libertà di coscienza e convinzione. Tuttavia questo “diritto comune pattizio” non garantisce le specificità delle diverse confessioni. Poi, c’è la situazione di chi non ha un’intesa con lo Stato, e si trova in difficoltà ad avere diritti e libertà, ad esempio in materia edilizia.

Dopo 40 anni possiamo dire che ci sono varie interpretazioni. Intanto, la prima Intesa è stata poi usata come modello delle successive. Questo ha avuto effetti sia positivi, per l’ampliamento dei diritti, sia negativi, parlando dal punto di vista tecnico. Infatti, l’impianto di questa prima intesa era fin troppo elaborato, e ha portato con sé il rischio di tradirne alcuni principi nella fase successiva di conversione e approvazione in legge. Successivamente, il tentativo è stato quello di scrivere Intese in modo più semplice e lineare.

Cosa manca, a suo parere, per una piena tutela dei diritti in questo ambito?

Dal mio punto di vista, ci sarebbe bisogno di una nuova legge sulla libertà religiosa. Su questo tema le opinioni sono discordanti. C’è chi pensa che non serva, chi dice che basterebbe mettere insieme le norme già esistenti in un testo unico. Di sicuro, bisognerebbe superare la legge sui “culti ammessi” 1159/1929 e aprire la tutela della libertà di coscienza e di convinzione anche a non credenti, a chi ha posizioni filosofiche che non rimandano al trascendente e così via. Da parte cattolica, anche se in modo eterogeneo, potrebbe esserci la paura di perdere il Concordato e la conseguente legittimazione politica, ma questo potrebbe valere per tutte le confessioni che hanno un’intesa con lo Stato.

Oggi l’intesa resta una tappa importante per la democrazia italiana (e non è un caso che sia stato il mondo protestante a raggiungerla, avendo lavorato molto negli anni precedenti). Ne ho parlato anche lo scorso settembre proprio a Torre Pellice in occasione di un convegno organizzato dalla Società di studi valdesi. Rileggendo un po’ di scritti di Giorgio Peyrot si evince una sua idea molto particolare, che poi la storia ha, forse, un po’ tradito. Nonostante ci fossero resistenze, anche all’interno del mondo valdese dove alcuni avrebbero preferito un intervento di tipo unilaterale e non pattizio, Peyrot è sempre stato fortemente favorevole all’uso dell’intesa perché questo significava incardinare il problema del pluralismo religioso dentro il quadro costituzionale. Nel futuro si immaginava di avere un’intesa per ogni confessione. Oggi sappiamo che non è così e siamo fermi a 13 intese, ma nel panorama del pluralismo ci sono molte più di 13 confessioni.

In tema di laicità, uno dei nodi è rappresentato dall’insegnamento della religione cattolica (IRC) nella scuola pubblica. Cosa ne pensa?

Sicuramente è una questione che periodicamente emerge. Il problema generale riguarda il modo in cui attualmente l’insegnamento è regolato, in un panorama scolastico sempre più variegato dal punto di vista religioso e culturale. Ci sono voci dissenzienti anche da parte cattolica, con molti favorevoli a un modello alternativo, orientato a un insegnamento di storia delle religioni, che in realtà alcuni insegnanti, di fatto, già praticano. Inoltre c’è il tema dei docenti, inseriti a libro paga dello Stato e nominati dal Provveditorato, ma previo imprimatur di compatibilità del vescovo diocesano. Ancora una volta, siamo di fronte a una discrasia fra il quadro legislativo con le sue rigidità e quello che noi giuristi chiamiamo “costituzione materiale”, che spesso è più avanti rispetto alla normativa.


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