Roma (NEV), 19 marzo 2024 – L’acqua è finita. Nel senso che è una risorsa, sì, rinnovabile, ma finita, cioè non si può “produrre” acqua. Il pianeta terra non crea nuova acqua, né la perde. Tuttavia, il modo di piovere è cambiato e, di conseguenza, dovrebbe cambiare il modo di gestire le acque.
“L’acqua è risorsa di vita per eccellenza, non a caso anche nella Bibbia essa è benedizione, purificazione, nutrimento, battesimo, guarigione, potere, miracolo, salvezza” scrive la Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). L’occasione è la Giornata mondiale dell’acqua, che si celebra ogni 22 marzo (quest’anno con lo slogan “acqua per la pace”). Prosegue la GLAM: “Il Salmo 65 dice ‘Tu percorri la terra e la irrighi, la fai produrre abbondantemente. I ruscelli di Dio sono pieni d’acqua; tu procuri agli uomini il grano, quando prepari così la terra’. La Scrittura ci ricorda l’interconnessione fra esseri viventi, terra, cibo, piante, animali, acqua. Questo legame ci chiama a ricordare ogni giorno che siamo responsabili di quanto Dio ci ha dato in prestito e che dobbiamo conservarlo per le generazioni future, con giustizia, amore e gratitudine”.
Insieme all’acqua scorre molta disinformazione.
Ad esempio, spesso si sente dire che l’agricoltura è il settore che ne consuma troppa. Non è così, ci dicono gli esperti. L’agricoltura usa l’acqua, e questa differenza è fondamentale, perché quella stessa acqua arriva alle piante, al cibo, alla terra, e attraverso un suo ciclo, anche di percolazione, resta disponibile per la vita. Resta un problema quando la stessa agricoltura inquina l’acqua con pesticidi e fertilizzanti chimici. Si afferma, poi, che l’acqua è consumata quando esce inquinata. È quindi il settore industriale uno dei punti più critici per l’acqua. Anche il settore informatico consuma acqua e, strano a dirsi, anche l’intelligenza artificiale. Raccolta di acqua piovana, difesa idrogeologica, irrigazione efficiente, interventi contro la dispersione idrica… questi sono stati alcuni degli argomenti trattati nell’incontro “Acqua in agricoltura: un glossario minimo”* tenutosi recentemente a Roma. Fra i relatori, il giornalista ambientale Fabrizio Stelluto ha ricordato che in Italia abbiamo il 30% di pianure, un terzo delle quali artificiali. Ci sono 500 idrovore solo a nord est, per mantenere asciutte zone di interesse turistico, agricolo e produttivo. Da un lato, quindi, ci sono le idrovore e dall’altro c’è il bisogno di ripristino delle zone umide. Andrebbe visto caso per caso, tenendo conto che un’idrovora nell’assorbire l’acqua può distrugge degli ecosistemi. E anche il rispetto del flusso minimo dei corpi idrici nelle captazioni è un tema critico.
Qualche dato:
1 ettaro di terreno irrigato vale 13.000 euro in più di uno non irrigato. In Italia tratteniamo solo l11% dell’acqua piovana (in Spagna il 35%). Sempre in Italia, abbiamo 35 opere idrauliche incompiute, 1,2 milioni di ettari che necessitano di impianti di sollevamento, 7 milioni di ettari che hanno bisogno di bonifica e 200.000 ettari di riserve naturali che necessitano costantemente della collaborazione dei consorzi di bonifica. Conservare l’acqua in modo diffuso, quindi, si rende importante, soprattutto in condizioni di alterazione del ciclo dell’acqua, anche vista la minore prevedibilità stagionale e gli eccessi tra siccità e alluvioni (che sono poi due facce della stessa medaglia).
Insomma, il tema “acqua” è estremamente complesso. Si potrebbe parlare di tubature inefficienti, come del bisogno di nuovi bacini di raccolta e dell’importanza delle acque sotterranee. Di manutenzione delle infrastrutture (pensiamo alle 534 grandi dighe italiane, dove il 10% della capacità di invaso è impedita per presenza di sedimi). E ancora, di innovazione (dal riutilizzo delle acque reflue, alla micro-irrigazione, ai laboratori di fitodepurazione, alle reti ombreggianti e antigrandine, all’irrigazione di precisione). Inoltre, ci sarebbe da parlare di coordinamento nazionale e di sistemi di bonifica. Uno dei punti cruciali è la carenza di cultura dell’acqua, ma ancor più grave è la mancanza di un piano di prevenzione idrogeologica, a fronte di decine di migliaia di morti, nel nostro Paese, a causa di alluvioni, smottamenti e altri incidenti ambientali.
Politiche europee per l’acqua
Qui si apre una questione cruciale, che riguarda i finanziamenti e le norme, in particolare quelle europee. I servizi ecosistemici, di protezione e monitoraggio ambientale, richiedono sempre più informazioni, principi, ricerca e conoscenza tecnica. Le direttive europee (ad esempio quella varata nel 2020 sulle acque) hanno delle scadenze stringenti. Alcune norme sono state costruite su principi generali senza tenere conto della specificità italiana, ad esempio quella riguardante il livello minimo di acque dei fiumi. Essendo l’Italia fortemente artificiale nel suo sistema idrico, il rispetto di questo livello potrebbe rappresentare un rischio ecosistemico che pregiudicherebbe sia l’ambiente sia l’agricoltura. Sta di fatto che gli impegni agroclimatici ambientali per un uso sostenibile dell’acqua richiedono investimenti, obblighi e divieti.
Manutenzione gentile
La tecnologa di bioeconomia Myriam Ruberto ha rilanciato il concetto di manutenzione gentile per la tutela naturale. Un concetto che tiene insieme il valore economico delle risorse idriche, la collettività, la biodiversità, il turismo sostenibile. Ad esempio, ci sono progetti di ripristino della vegetazione che tutelano il passaggio della fauna ittica, le aree di infiltrazione, il ripristino di aree umide, bacini e stagni. Ci sono infrastrutture per la ritenzione naturale delle acque che rispondono agli obiettivi ambientali relativi alla direttiva alluvioni e gestione acque, con un sistema “win win”. L’irrigazione è necessaria e vitale, per questo va monitorata, quantificata, mantenuta, finanziata e innovata.
Norme europee e realtà produttive: una distanza di visioni che va superata, in nome di un equilibrio globale
Questa complessità influenza le politiche e ne è influenzata. Per questo servono organismi di rappresentanza. Occorre ad esempio evidenziare le diversità territoriali in Europa, a livello agricolo e idrico, nei Paesi del sud e del nord. Come sostiene Adriano Battilani, Segretario generale di Irrigants d’Europe per i Paesi del sud, con l’obiettivo water resilient l’Unione Europea vuole mettere sotto l’unico ombrello del green deal europeo le questioni di gestione dell’acqua, di siccità e inondazione, di economia circolare. “Un nuovo regolamento con pietre miliari molto stringenti e una galassia di norme, con scadenza 2030 o 2050 – afferma Battilani -. Serve riconciliare l’idealismo dell’UE con il realismo dei settori produttivo, e per questo manca un budget decoroso. Le politiche europee vanno lette come strumentali per produrre innovazione e responsabilità sociale e individuale, con nuovi modelli di business. In agricoltura questo significa una enormità di adempimenti”.
Da parte loro le chiese, a livello europeo, hanno fortemente sostenuto il fondamento delle direttive ambientali UE. C’è chi denuncia una campagna mediatica fortemente guidata dalle lobby del fossile, che non vuole cedere i finanziamenti pubblici che riceve. Questo processo rischia di delegittimare le misure di sostenibilità che, appunto, hanno bisogno di accompagnamento sociale e di investimenti che non dovrebbero essere aggiuntivi, ma sostitutivi, proprio per evitare i costi dei danni di fonte idrogeologica. Il cambiamento, sostiene la GLAM, è sicuramente difficile, per questo occorre individuare a tutti i livelli i tempi e i modi per facilitarne la realizzazione.
C’è poi la questione dei vincoli che rischiano di stravolgere il nesso acqua-energia-alimentazione.
Usiamo molta acqua per l’energia, ma pochissima energia per l’acqua. Ora si va verso un utilizzo dell’acqua su tre fronti: sia per il cibo, sia per l’energia, sia per lo stesso ambiente. Il risultato di tutto questo può essere: confusione, fragile sicurezza e compromissione della sovranità alimentare. Pensiamo ad esempio alla richiesta di rotazione obbligatoria per le colture a pieno campo e frutticole. Se in Europa la scadenza è entro il 2030, in Cina è il 2060 e in India il 2070. Per concludere: che visione di futuro abbiamo? Serve sicuramente un modello di sviluppo che tenga in equilibrio tutti gli aspetti: sociali, umani, ambientali, naturali, climatici, storici, paesaggistici, economici. Senza perdere di vista la giustizia climatica universale.
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* L’incontro “Acqua in agricoltura: un glossario minimo” è stato promosso dall’ente di ricerca agroalimentare CREA in collaborazione con ANBI (Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue) e il patrocinio di UNARGA (Unione nazionale associazioni regionali giornalisti agroambientali).