Roma (NEV), 22 aprile 2024 – Intervistando il responsabile della gestione dei volontari di Servizio civile della Diaconia valdese, Stefano Bertuzzi, abbiamo raccolto alcune riflessioni sulla distinzione tra servizio civile e lavoro e sui valori del volontariato come strumento di cittadinanza attiva.
La Commissione sinodale per la Diaconia (CDS-Diaconia valdese) ha al suo attivo diversi progetti nazionali e internazionali per giovani. C’è tempo ancora fino al 30 aprile per candidarsi alle attività nel sociale all’estero con la Diaconia in Spagna, Francia, Belgio, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia.
Qui di seguito, il testo dell’intervista a Stefano Bertuzzi.
Nel recente Convegno sul lavoro organizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), il prof. Sabato Aliberti (Università di Salerno), citando alcuni dati, ha evidenziato che negli ultimi 30 anni, in Italia, i salari sono rimasti pressoché invariati (+1%) rispetto agli altri paesi OCSE, dove invece si registra un aumento del 32%, osservando che soprattutto nel Terzo Settore siamo di fronte a un “Lavoro declassato a merce per produrre profitto, senza più guardare alla persona”. Nel 2021, inoltre, nell’ambito del lavoro gratuito si stimavano 4 milioni volontari, diminuiti del 15% rispetto al 2015. Infine, assistiamo a una trasformazione del lavoro e a una sua segmentazione, sempre più all’insegna del precariato. In questa cornice, che appello si sente di fare ai decisori politici e alla cittadinanza?
Per quanto riguarda l’adeguamento del rimborso dei volontari di servizio civile al costo della vita e l’inflazione non possiamo lamentarci, perché ogni anno il Dipartimento adegua questo rimborso. Per esempio lo scorso anno, in cui c’è stato il famoso boom dell’inflazione a circa il 10%, il compenso dei volontari è passato da 450 € a più di 500 €. C’è poi da ricordare che volontariato, in questo caso servizio civile, e lavoro sono due cose differenti.
In questo momento c’è la tendenza, secondo noi negativa, a trasformare il servizio civile in un mix tra formazione e lavoro precario sottopagato. Non è quello il primo intento perché, come si diceva prima, il servizio civile dà formazione, sì, ma non è un percorso formativo E non dovrebbe esserlo. Esso è un percorso di cittadinanza attiva, un percorso di attenzione e rispetto verso l’altro, verso chi ci circonda.
D’altra parte ci piacerebbe che questi piani rimanessero distinti e che invece il lavoro, appunto, fosse ben distinguibile, meno precario, meno frammentato, più giustamente pagato. Aldilà del servizio civile la crisi del volontariato dipende anche da questi fattori, nel senso che se una persona deve barcamenarsi tra 2 o 3 lavori discontinui, dove trova anche il tempo per fare volontariato? Se una persona ha un lavoro stabile, che consente di pianificare la propria vita, è chiaro che può impegnarsi anche nel volontariato.
Non aiuta, inoltre, l’aumento dell’età pensionabile. Diversi enti facevano affidamento, per alcune delle loro attività, sull’aiuto di persone di 62, 65 o 67 anni. Adesso molte di queste persone lavorano ancora, quindi non possono più dare una mano o possono farlo con meno energie.
L’appello che possiamo fare è quello di mantenere una distinzione netta tra il volontariato e il lavoro, che deve avere le giuste garanzie, le giuste tutele e deve essere giustamente remunerato.
Come è strutturato il servizio civile per la Diaconia valdese?
La Diaconia valdese coordina annualmente un numero variabile di volontari, dipendente dalle posizioni progettate e finanziate dal Dipartimento e inserite nel Bando nazionale. Di solito, negli ultimi anni sono stati avviati dai 30 ai 50 volontari di servizio civile. La gestione avviene centralmente, coinvolgendo anche diversi partner, principalmente legati alle chiese, come la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), l’Asilo valdese di Luserna San Giovanni, la Cooperativa Confronti, Radio Beckwith, il Museo valdese di Torre Pellice, e altri ancora. Tuttavia, vi sono anche partner non direttamente affiliati alle chiese, come enti pubblici, ad esempio il Comune di Torre Pellice e attualmente il CISS, un consorzio che gestisce i servizi sociali del Pinerolese. Pertanto, la Diaconia valdese, come ente accreditato, funge da capofila nella gestione dei volontari e delle volontarie.
I dati ci dicono che il rapporto domande/posti disponibili è in crescita rispetto allo scorso anno. Su 52.236 posti messi a bando su Italia e estero, sono state ben 114.583 le domande, e in tutte le aree geografiche, dice la CNESC, il numero di domande è stato superiore al numero di posti. In che modo la Diaconia valdese commenta questi dati?
In questi anni si parla di crisi del volontariato, e in qualche modo intercettiamo anche noi questa crisi. Lo vediamo sia nei progetti di servizio civile sia nel volontariato internazionale. D’altra parte il trend positivo delle domande può essere spiegato con diversi fattori.
Innanzitutto fare domanda non costa nulla, quindi molti ragazzi magari presentano la candidatura e poi decidono di non presentarsi ai colloqui o non iniziare il servizio.
In secondo luogo c’è il fattore del rimborso, che ammonta a 500 € a fronte di 25 ore settimanali, con dei benefit, ad esempio la formazione, oltre alla possibilità di interfacciarsi con enti che lavorano in settori nei quali la persona potrebbe essere interessata, in futuro, ad avere ulteriori collaborazioni.
La questione del cosiddetto rimborso è molto importante soprattutto in alcune zone dove ci sono meno possibilità a livello occupazionale, ma conta anche il settore. Ad esempio in quello educativo e culturale, come nel settore dell’assistenza a persone rifugiate e richiedenti asilo, abbiamo solitamente un numero maggiore di candidature. Si tratta di giovani che hanno fatto dei percorsi di studio legati a quei settori specifici, con l’idea magari di fare una sorta di lungo tirocinio che spesso, tra l’altro, porta a dei risultati. Ogni anno infatti abbiamo 2, 3, o 4 persone che continuano a lavorare nello stesso ambito e molto spesso nello stesso ente dove hanno concluso il servizio civile.
Diversamente, nei settori di assistenza a disabili e anziani c’è un po’ più di difficoltà ad intercettare persone interessate, anche se in quei campi troviamo chi, dopo un anno di servizio in struttura, decide ad esempio di iscriversi a un corso per Operatori socio sanitari (OSS) e spesso si concretizza la possibilità di lavorare nella stessa struttura o comunque nello stesso settore.
Ci sono ragazzi e ragazze che inviano la domanda e poi non si presentano ai colloqui conoscitivi. Altri che dopo qualche tempo rinunciano all’incarico. Secondo voi perché? Potrebbe essere una questione generazionale?
Difficile dire perché i ragazzi e le ragazze rinuncino o interrompano il servizio civile e sicuramente ci sono alcuni fattori generali che non sono favorevoli. Uno di questi è certamente il tempo lungo tra la fase di selezione e quella di entrata in servizio. Consideriamo che generalmente passano quasi sei mesi o addirittura più di sei mesi, per esempio il bando quest’anno è stato aperto a dicembre 2023 e i primi volontari inizieranno a maggio, ma in alcune strutture (non della Diaconia) è previsto che possano iniziare fino a settembre e, nel frattempo, i programmi di vita cambiano.
Un ulteriore fattore che riscontriamo nel servizio civile così come nel volontariato internazionale è quello della difficoltà di prendersi impegni a lungo termine, nel senso che molto spesso dopo alcuni mesi di esperienza c’è un po’ l’idea di dire “bene, l’esperienza l’ho fatta, adesso faccio qualcos’altro, cerco qualcos’altro”.
Il servizio civile offre sempre di più dei benefit a chi conclude il servizio e questo tiene i ragazzi e le ragazze un po’ più motivati, tuttavia una questione generazionale probabilmente rimane e noi ci stiamo interrogando non tanto sul servizio civile quanto più sul volontariato internazionale. Vorremmo in questo senso provare a proporre delle esperienze più brevi rispetto agli 11 mesi o all’anno che solitamente portavamo avanti.
Da diversi anni la Conferenza nazionale enti servizio civile (CNESC), cui la Diaconia valdese aderisce, lamenta una mancanza di attenzione e di risorse verso questo prezioso strumento di cittadinanza. Cosa ne pensa?
Quello che dispiace è che non ci sia stata, negli ultimi anni, la volontà politica di attuare realmente quell’universalità che era prevista nell’ultima riforma del servizio civile che ha cambiato il nome da “nazionale” a “universale”, proprio con l’idea che chiunque volesse fare servizio civile avrebbe avuto la possibilità di svolgere Il suo anno di servizio per il prossimo e per la collettività.
Questo non è possibile perché il finanziamento attuale non copre tutti i posti né tutti i progetti che i candidati e le candidate richiedono ogni anno. È un peccato che non si riesca a proporre questo genere di esperienza a chiunque ne faccia richiesta.
D’altra parte c’è una volontà di trasformare sempre di più una esperienza, che dovrebbe essere di volontariato quindi comunque di servizio, in un’esperienza altra, soprattutto di carattere formativo. In parte è vero che una parte di formazione è importante e viene richiesta dai giovani e dalle giovani, d’altro canto tuttavia trasformare degli enti del terzo settore, che si occupano di sociale e di assistenza, in enti che fanno attività formativa e rilasciano attestati che certificano competenze eccetera, forse allontana il servizio da quello che dovrebbe essere il suo obiettivo principale.