Roma (NEV), 5 luglio 2024 – Che cosa vuol dire essere valdese, oggi? In occasione degli 850 anni dalla nascita del movimento valdese, insieme a Radio Beckwith (RBE) e a Riforma, abbiamo interrogato diversi esponenti di questa comunità, chiedendo loro di spiegare in modo semplice, sintetico, a parole loro, questa appartenenza. Giovani e meno giovani, provenienti da ogni regione d’Italia, pastore e teologhe, o anche “semplici” cittadini. Ecco le loro risposte.
Protagonista di questa “puntata” è Michel Charbonnier.
Io credo che essere valdesi oggi significhi tante cose diverse e forse proprio la pluralità, il poter essere valdesi in tanti modi diversi, è uno degli elementi più caratterizzanti dell’essere valdesi. Non c’è un modo giusto di essere valdesi, ce ne sono tanti. A seconda delle persone con cui parli, dei contesti in cui li incontri, ti daranno tante e tante risposte diverse.
C’è chi parlerà della fedeltà alla scrittura, c’è chi parlerà della diaconia, dell’aiuto al prossimo.
C’è chi parlerà dell’accoglienza, dell’accoglienza non giudicante, delle diversità. Dell’essere una chiesa dal basso, una chiesa democratica, una chiesa che non ti dice cosa devi fare, ma ti dà gli strumenti per vivere la tua vita nella libertà e nella responsabilità.
C’è chi parlerà della storia, delle imprese eroiche degli avi, del Glorioso Rimpatrio; c’è chi parlerà delle radici o chi parlerà della famiglia. Perché è anche una questione familiare, soprattutto in alcuni contesti, cioè c’è anche chi dice ‘io sono valdese perché mia nonna lo vuole’, ‘mia nonna ci tiene’, ‘mia nonna…’
Ecco allora tanti modi diversi di essere valdesi.
La pluralità come cifra di ciò che caratterizza l’essere valdesi.
L’altra cosa bella è che non è obbligatorio essere nessuna di queste cose per essere valdesi Non è che tutti i valdesi devono essere dei fan della storia, oppure impegnarsi nella diaconia, eccetera. Questa pluralità, questa unità nella diversità mi sembra una cosa caratterizzante, ma non è obbligatorio essere nessuna di queste cose, credo, tranne una. C’è una cosa che se tu togli dall’equazione crolla tutto il resto, non è più ‘essere valdesi’ ed è la fede in Gesù Cristo. Fede in Gesù Cristo testimoniato nella parola, incontrato nella parola ascoltata, meditata e vissuta in comunità.
Se tu togli la fede in Gesù Cristo crolla tutto il sistema: se tu togli la fede in Gesù Cristo dalla diaconia, la chiesa valdese diventa semplicemente un’altra ONG. Se tu toglie la fede in Gesù Cristo dalla storia e dal Glorioso Rimpatrio, i nostri antenati non avrebbero fatto neanche 500 metri… e così via discorrendo.
Credo che questi due elementi caratterizzanti, la fede in Gesù Cristo cioè l’incontrarlo nella Parola biblica, e il vivere la Parola e le sue implicazioni nella comunità dei credenti, siano due elementi che vanno insieme. A guardare bene la nostra storia, se non ci fossero stati questi due elementi, oggi non saremmo la chiesa valdese. La fedeltà alla scrittura è stato quello che ha guidato – e a volte ha fatto anche sacrificare – la vita dei valdesi nel corso dei secoli.
Allora chi riesce a dirsi oggi valdese ma non nutre nessun interesse per l’incontro con Gesù Cristo nella scrittura, ecco questa è una contraddizione in termini. Come pure il fatto di essere valdesi per i fatti propri. Io credo che il cristianesimo in generale, ma soprattutto il cristianesimo in prospettiva protestante e quindi in questo caso valdese, è uno sport di squadra. Non è uno sport che si gioca da soli.
Non a caso al ritorno dal già citato Glorioso Rimpatrio i valdesi, nel famoso Giuramento di Sibaud, promettono fedeltà al Signore, ma al tempo stesso si promettono di rimanere insieme, si promettono l’unità reciproca, perché capiscono benissimo che o si è chiesa insieme o non si è nulla. Capiscono benissimo che per continuare a sopravvivere allora e, forse, anche oggi l’elemento fondamentale è l’essere chiesa insieme.
Le altre “puntate” qui: Essere valdesi oggi Archivi – Nev