Roma (NEV), 17 settembre 2024 – Le ultime due righe del testamento di Paolo Ricca sono queste: “Al termine della mia vita, la lista delle persone che vorrei ringraziare è interminabile, non comincio neppure. Ringrazio ciascuno e ciascuna, ad uno ad uno. Ringrazio Dio che mi ha creato e chiamato a servirlo nella chiesa valdese e nell’ecumene cristiana, confido nel suo perdono e nel vostro”. Queste parole sono state lette dalla figlia del noto teologo, Laura Ricca, ieri 16 settembre, nel tempio valdese di piazza Cavour a
Roma, gremito di persone che hanno voluto ricordare insieme il teologo e pastore valdese Paolo Ricca, recentemente scomparso. Laura Ricca ha citato una pagina del libro “Dio”, quella in cui il padre parla dell’opera di Georges Rouault “Il serait si doux d’aimer” (sarebbe così dolce amare): “Rouault qui non dice l’altra grande verità in questo campo, e cioè che sarebbe così dolce amarsi, cioè vivere la reciprocità nell’amore. Rouault dice che è bello amare, anche senza contropartita: puro amore che si spende e si dona senza esigere o aspettarsi contropartita – scrive Paolo Ricca – […] Ma perché «sarebbe così dolce amare»? Per tanti motivi, ma i principali sono due. Il primo è che così è l’amore di Dio, che non aspetta di essere amato per amare e non cessa di amare chi non lo ama. Il suo amore precede tutti gli altri, e li fonda; crede anche di poter con-vincere, cioè vincere insieme a chi non lo ama perché non lo conosce. Dio ama «a fondo perduto». Il secondo motivo è che l’amore rende felice chi è amato. Sentirsi amati è la più bella sorpresa della nostra vita. Siamo felici non perché siamo amabili (forse non lo siamo neanche tanto), ma perché siamo amati. Ma perché, infine, nel titolo quel condizionale «sarebbe»? Perché – ci dice Rouault – lo sarebbe, se fosse praticato. Tocca a noi trasformare quel condizionale in un bell’indicativo: È così dolce amare. Perché questa trasformazione avvenga, non basta dichiarare il proprio amore, occorre praticarlo”.
La ricchezza e la varietà degli interventi che si sono susseguiti rendono impossibile restituire appieno i ricordi e le riflessioni condivise. Voci di spicco del panorama religioso e culturale hanno restituito un’immagine poliedrica e luminosa di Paolo Ricca e del suo contributo intellettuale e di fede che ha travalicato i confini confessionali e spirituali. Ne emerge un “ecumenismo dell’amore”. Ne emerge la figura di un uomo spiritualmente libero, che ha imparato la libertà dal protestantesimo e nel protestantesimo, come ha detto il teologo Fulvio Ferrario, che ha condiviso alcuni ricordi personali e altri legati al lavoro di Paolo Ricca, costellato di studio, ricerca, impegni, libri, pubblicazioni, interventi. Paolo Ricca, “Appassionato sì, protestante sì, ecumenico per questo”, ha detto Ferrario, sottolineando la capacità del teologo di essere riuscito a non rendere confessionale l’ecumenismo, nel ribadire anche che “Cristo è più grande della chiesa”, di tutte le chiese, che sia cattolica o che sia valdese. E ha citato, fra l’altro, il memorabile sermone di Ricca: “Non è ancora manifesto quel che saremo”.
Hanno preso la parola, quindi, Andrea Riccardi per la Comunità di Sant’Egidio e il cardinale Gianfranco Ravasi. Riccardi ha portato il suo ricordo, sia personale sia comunitario, fatto di tante “geografie” condivise. Lucidità, energia, amabilità di Paolo Ricca, che era “a casa sua in tutte le chiese”, e ascoltava. Predicatore curioso, pronto a imparare la vita, uomo di “fraternità”. Ravasi, da parte sua, ha detto: “noi ci parlavamo con le recensioni”. Con Ricca c’era “un legame profondo sulla Bibbia”, fraterno. “È stato un maestro, anche per me, di fede, è stato un credente, non uno che crede una volta per sempre in maniera stereotipata, ma uno che ogni giorno costruisce e ricostruisce la sua fede”. Citando il già citato volume “Dio” e dedicando due “fiori” al teologo, due versetti, Ravasi ha parlato della capacità di visione di Paolo, e della necessità di riportare la fede alla trascendenza.
La giornalista Maria Grazia Mazzola ha ricordato l’incontro degli anni ’90 fra pentecostali e protestanti, proprio nel tempio di piazza Cavour, dal titolo “Unità nella diversità”. Fu la prima tappa di quella che poi è diventata una lunga e intensa amicizia con Paolo, di cui Mazzola parla come di “padre spirituale”, senza dimenticare i percorsi al Monastero di Bose e altri cammini di fede che si sono intrecciati, caratterizzati “dall’amore per Gesù e per ogni essere umano”.
Luigi Sandri, per “Noi siamo chiesa”, ha ricordato la prima volta di un pastore valdese alla Basilica di San Pietro, quando Ricca ha parlato di come sarebbe bello che ci fossero “Molti Pietro”.
E Gabriella Caramore, che fra l’altro ha letto la “Preghiera del mattino” di Paolo Ricca, una preghiera che si potrebbe dire universale, ecumenica, o addirittura laica. E poi il cardinale Francesco Coccopalmerio, che ha sottolineato quanto si potrebbe (dovrebbe) essere più veloci nel realizzare l’unità di fede: “Facciamo subito la celebrazione eucaristica insieme, senza aspettare riflessioni dottrinali, che arriveranno dopo. Mettiamoci in questa prospettiva”.
Il pastore battista Luca Maria Negro, da parte sua, ha sottolineato due aspetti della personalità così poliedrica di Paolo: “il primo aspetto è Paolo come pacifista, come sostenitore dei movimenti non violenti del diritto all’obiezione di coscienza. Il secondo aspetto è che Paolo Ricca amava l’arte e quindi in realtà lui era una sorta di critico d’arte religiosa, un esegeta di opere artistiche a carattere biblico”.
La commemorazione ha visto molte altre voci, da quella del pastore Marco Fornerone che ha aperto il pomeriggio con una breve riflessione biblica, al saluto di Laura Ronchi, alle parole sui libri di Paolo Ricca, da parte di Maria Bonafede. Ancora, l’onorevole Valdo Spini, Simone Morandini del Segretariato per le attività ecumeniche (SAE), Ernesto Borghi dell’Associazione Biblica della Svizzera italiana e i pastori Luca Maria Negro e Giovanni Traettino. Infine, a nome della comunità valdese, Vincenzo Ribet e Giancarlo Sabbadini, con un ulteriore contributo di Irma Bottazzi per la chiesa metodista di Bologna. Tutti gli interventi hanno contribuito a dipingere il ritratto di un uomo la cui eredità teologica e spirituale ha lasciato un segno indelebile nel panorama del protestantesimo e dell’ecumenismo. La commemorazione ha avuto anche alcuni momenti musicali, con un preludio di Daniele Camiz, alcuni inni e l’esecuzione del canto “Gracias a la vida” di Violeta Parra, interpretato da Giulia Cignoni. La cerimonia si è conclusa con un momento di preghiera guidato da Marco Fornerone.
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