Assemblea battista. Nuzzolese: la pace vista dalla trincea

Roma (NEV), 20 settembre 2024 – La 47^ Assemblea Generale dell’Unione delle chiese evangeliche battiste d’Italia (UCEBI) ha ospitato ieri sera un momento pubblico di grande intensità. Stiamo parlando della tavola rotonda interreligiosa dal titolo “Spiritualità e costruzione della pace”, con interventi di Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione centro di documentazione ebraica contemporanea; don Armando Nugnes, rettore del Pontificio Collegio Urbano; Francesca Nuzzolese, docente di teologia pratica presso la Facoltà valdese di teologia; Hamid Zariate, medico e Imam; Anna Conti, vice-presidente Soka-Gakkai. La giornalista Emmanuela Banfo ha aperto la serata con una lunga introduzione, densa di citazioni e suggestioni in nome del fare insieme, del dialogo, dei principi etici. In fondo alla pagina la registrazione integrale della tavola rotonda.

Riprendiamo l’intervento di Francesca Nuzzolese e, di seguito, una sintesi degli altri interventi.

Foto di Martina Caroli / Riforma

Nuzzolese ha esordito dichiarandosi “Allergica alle parole”, sentendosi “nel privilegio di poter parlare da una certa distanza dai conflitti, mentre un mondo traumatizzato – nel quale entro costantemente per volontà del Signore – mi chiama. Vivendo tra questi due spazi, sento su di me il contagio della sofferenza e non vorrei tradirla con leggerezza nelle mie parole. Voglio portarvi nella ‘trincea’ con me. Sono stata quattro volte in Palestina: non sto parlando della questione politica o religiosa, ma della mia esperienza di incontro con persone. Da allora continuo a svolgere un servizio di sostegno psicoterapeutico a colleghe che organizzano incontri mensili per madri che sono in lutto per la perdita dei loro figli e delle loro figlie a causa di attacchi e bombe. Questi incontri hanno lasciato un segno profondo su di me. Sento il bisogno di spiegare concetti come pace, perdono, pazienza, ma a volte devo portare il peso del silenzio a domande che sono troppo grandi. Mi rivolgo allora alle scienze umane e alla psicologia, chiedendomi: come siamo arrivati a questo? Se gli insegnamenti religiosi sono così chiari – come, ad esempio, nel cristianesimo, leggiamo in Matteo 5: ‘amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano’, come è successo che poi abbiamo costruito nemici in coloro che vivevano al nostro fianco? Penso al Ruanda, dove sono stata. Penso a fratelli e sorelle che si dividono a causa di ideologie manipolate in nome di Dio. Resto con questa domanda: come possiamo uscirne? La spiritualità mi sostiene; leggo gli insegnamenti radicali di Gesù, come in Luca 6: ‘amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano’. Come posso spiegare questi comandamenti a queste sorelle?

Posso provare con la cura pastorale, che è un dono anche senza parole o senza risposte. Conosco l’idea della pace, nella sicurezza della mia casa, ma in trincea non riesco a trovare le risposte giuste. La spiritualità, per me, diventa quindi una forma di protesta contro la reazione traumatica del sentirci paralizzati, in una sorta di congelamento. La mia lettura psico-spirituale del peccato originale vede l’umanità come traumatizzata, incapace di elaborare la propria sofferenza, che viene quindi trasmessa di generazione in generazione. Penso che la terra di Palestina sia abitata da persone traumatizzate. In generale, poi, la strumentalizzazione dei testi sacri mi provoca vergogna, una vergogna che dovrebbero provare anche coloro che sono corresponsabili nel non agire, nel non scendere in piazza a chiedere un cessate il fuoco immediato. Infine, la nostra teologia ci invita a immaginare l’impossibile: a perdonare. Come ci si confronta con questo imperativo radicale? Noi siamo stati perdonati e siamo chiamati a perdonare. Ma se noi cristiani, che professiamo questi insegnamenti, non li viviamo, cosa succede? Se ci sono 10 milioni di sionisti su 7 milioni di ebrei negli USA, significa che anche noi cristiani non siamo riusciti a incarnare questi valori. Insomma, la pratica della pace comincia dicendo la verità anche quando è scomoda. Non posso sottrarmi alla responsabilità di riflettere, non solo su una scala interpersonale, ma anche globale e collettiva. Dobbiamo farci domande più grandi: in che modo la nostra teologia può aiutarci? Come possiamo integrare questi insegnamenti nella nostra educazione? Non possiamo restare in silenzio. Sono domande che mi pesano sul cuore e penso che il dialogo e l’ascolto siano sempre la via più importante. Ma il dialogo e l’ascolto richiedono molto silenzio. La pace inizia con il dirsi la verità”.


Sintesi degli altri interventi

Hamid Zariate ha ricordato l’importanza della pace interiore come presupposto per la pace sociale. Ha condiviso la sua esperienza personale e professionale di medico, spiegando come il dolore e la malattia lo abbiano portato a riflettere sulla fragilità umana. “Se non c’è pace nel piccolo, non ci sarà mai pace nel mondo”, ha detto, sottolineando che la conoscenza reciproca tra culture diverse è fondamentale per superare paure e pregiudizi.

Don Armando Nugnes, ha affrontato la delicata questione del rapporto tra religione e violenza. Ha rilevato come il pregiudizio che associa le religioni alla violenza sia radicato nel pensiero comune, specialmente nei confronti dei monoteismi. Tuttavia, ha sottolineato come le religioni siano, in realtà, laboratori di fraternità e pace, spiegando che la violenza religiosa è spesso il frutto della manipolazione esterna per interessi di potere. Nugnes ha quindi richiamato il concetto di “fraternità universale”, promosso dalla teologia cattolica, come una visione armonica che abbraccia sia l’ecologia integrale sia la solidarietà umana. La fraternità, ha concluso, non è una meta, ma un metodo per la costruzione della pace.

Gadi Luzzatto Voghera ha portato una prospettiva storica al dibattito. “Stiamo vivendo molte guerre, una particolarmente vicina”, ha osservato, riferendosi alla complessa situazione geopolitica attuale. Ha poi messo in guardia contro la strumentalizzazione della religione da parte dei fondamentalismi, fenomeno che colpisce tutte le fedi e minaccia la coesione sociale. Luzzatto Voghera ha richiamato il pensiero di suo padre, Amos Luzzatto, protagonista del dialogo interreligioso, sottolineando che le religioni non devono essere personificate: sono gli uomini e le donne che possono trovare spazi di confronto e amicizia. Ha poi criticato la presunzione laicista che vede la religione come irrilevante e nega lo studio delle dinamiche religiose, causando gravi lacune a livello educativo con gravi ricadute nella società e nella politica.

Anna Conti, vicepresidente della Soka Gakkai, ha invece evidenziato il legame profondo tra pace e spiritualità. Ha ricordato che la pace non è semplicemente l’assenza di guerra, ma una rete di legami di solidarietà che protegge la dignità di ogni vita. Citando un poema buddista, ha descritto la pace come “una luce brillante che l’umanità ricerca”. Conti ha invitato a una riflessione sul ruolo delle religioni, che dovrebbero essere al servizio dell’umanità, non solo per il benessere spirituale, ma come strumento per costruire società più inclusive. “Ogni persona è portatrice di scintille di vita”, ha detto, richiamando l’importanza della solidarietà e del superamento dell’individualismo per il bene comune.

L’incontro si è concluso con una riflessione comune: la costruzione della pace è un processo lento e complesso, che richiede sia la trasformazione interiore degli individui sia l’azione collettiva per una società più giusta. I relatori hanno concordato sull’importanza del dialogo interreligioso come strumento per abbattere muri di incomunicabilità e promuovere una pace concreta e duratura, radicata nella solidarietà e nella fraternità tra i popoli. Le parole ricorrenti di tutti gli interventi sono state: conoscenza reciproca e interconnessione.