I sicari e le mandanti di fronte alla grazia di Dio

Pubblichiamo il testo della rubrica "Essere chiesa insieme" a cura di Paolo Naso, andato in onda domenica 6 ottobre in chiusura della trasmissione radiofonica "Culto evangelico" di Radiouno RAI

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Roma (NEV), 8 ottobre 2024 – Sarebbero  “sicari” i medici che praticano l’aborto e quindi, se le parole hanno un senso e un peso, omicidi che uccidono su mandato di donne che decidono di interrompere la loro gravidanza. Sicari: è proprio questa l’espressione recentemente usata da papa Francesco in un colloquio sull’aereo che lo riportava a Roma dopo un viaggio in Belgio dove, per altro, aveva parlato a lungo delle donne nella chiesa, definendo “donna” la Chiesa stessa.

Dell’affermazione colpisce soprattutto la durezza della parola sicario, che rimanda all’idea di un omicidio a pagamento e a mandanti che operano nell’ombra. Espressioni tanto più sorprendenti considerando che Francesco ci ha abituati a parole miti, comprensive, accoglienti. In molti ricordano il suo “ma chi sono io per giudicare?”, in risposta a chi gli chiedeva un parere sull’omosessualità.

Alle severe parole del papa hanno puntualmente risposto i medici abortisti, ricordando che loro applicano una legge dello Stato italiano e che l’accusa di essere dei “sicari” è fuori luogo, fuori contesto e, crediamo, fuori tempo.

Paolo Naso

Altri osservatori hanno dato un’interpretazione politica delle parole di Francesco: spesso accusato di cavalcare i temi della sinistra – accoglienza ai migranti, tutela dell’ambiente, giustizia globale – in questa occasione ha voluto dire una cosa apprezzata dalla destra. Operazione facile e pienamente riuscita.

Più debole la risposta delle forze di opposizione, in evidente imbarazzo a contraddire o criticare Sua Santità. Resta il fatto che l’accusa rivolta alle donne che abortiscono – non nuova nella sostanza – è assai forte nella forma e riapre una questione annosa.

Vogliamo così richiamare un altro aspetto della questione di ordine, per così dire, laico: la legislazione italiana sull’interruzione della gravidanza è tutto tranne che improvvisata. È infatti frutto di una lunga mediazione politica che coinvolse anche i vertici di quello che allora era il partito cattolico, la Democrazia Cristiana

Approvata la legge 194 nel 1978, le forze cattoliche più radicalmente contrarie all’aborto legalizzato, capofila il Movimento per la vita, promossero un referendum abrogativo della norma che però nel 1981 fu sconfitto con il 68% dei votanti che confermarono la norma che legalizzava l’interruzione di gravidanza e istituiva una rete di consultori tesi a promuovere l’informazione sulla contraccezione e la salute riproduttiva.

Da allora gli aborti in Italia sono costantemente diminuiti e, secondo fonti dell’Istituto Superiore di Sanità, calano di 3-4 punti percentuali all’anno.

Anche per questa ragione, le chiese protestanti italiane, nella ferma convinzione che si debba operare per prevenire l’aborto e favorire la conoscenza e la coscienza della sessualità, hanno difeso la legge sull’interruzione della gravidanza. Ma ci sono anche altre ragioni. Un aborto legalizzato in una struttura pubblica è mille volte preferibile a un aborto clandestino in condizioni umilianti e insicure, come ancora accade in troppi paesi del mondo, e purtroppo anche in Italia.

La libertà di abortire si iscrive nel diritto all’autodeterminazione della donna che Dio ha creato libera di compiere le sue scelte; non è un giudice, né un prete o un pastore che può decidere della gravidanza di una donna o salire sulla cattedra per giudicare una scelta comunque difficile e dolorosa.  Non il giudizio, quindi, ma la vicinanza e l’accompagnamento nella fraternità e sororità. E soprattutto nella fiducia nell’amore di Dio.