Roma (NEV), 29 ottobre 2024 – Un lettore o una lettrice di fede evangelica non sono particolarmente emozionati dal documento finale del Sinodo cattolico, né poteva essere diversamente. Mi limito a due osservazioni marginali.
Una breve nota sul tema ecumenico. Esso ricorre più volte nel testo, ma viene sviluppato soprattutto nel quadro del discorso sul Vescovo di Roma, il che non può non suscitare qualche preoccupazione. E in effetti, al n. 137 si riprende la Ut unum Sint di Giovanni Paolo II, che chiama a riflettere sul significato ecumenico del papato. Il recente documento sul Vescovo di Roma del Dicastero per la Promozione dell’unità dei Cristiani va nella stessa direzione. Che Roma cerchi l’unità intorno alla propria massima espressione gerarchica non può ovviamente stupire. Dispiace, semmai, che troppe voci protestanti mostrino, nei confronti di queste sirene, una sensibilità veramente degna di miglior causa. Il papato non unisce, bensì divide. E dopo il Vaticano I, lo fa in termini teologicamente ancora più drammatici di prima: paradossalmente, il papato del XVI secolo era teologicamente meno «invasivo» di quello odierno.
Il n.139, poi, associa, in un inciso, il «giubileo» della chiesa romana e le celebrazioni relative all’anniversario del Concilio di Nicea. Speriamo che tale passaggio non abbia alcun particolare significato. Il Concilio di Nicea riguarda tutte le chiese cristiane. Il «giubileo» o Anno santo è un’istituzione cattolico-romana che mette al centro tutto quanto è divisivo nella storia del cristianesimo, dal Purgatorio alle indulgenze, dalla teologia dei meriti alla celebrazione dell’assolutismo papale: sovrapporre in qualsiasi modo in due eventi non sarebbe costruttivo.
Fulvio Ferrario