Elezioni americane. Un diario newyorkese

New York, novembre 2024 - foto di Fabrizio Girolami

Roma (NEV), 5 novembre 2024 – Questo diario di viaggio inizia davanti al Madison Square Garden “dove Donald Trump ed Elon Musk cercheranno di convincere gli americani a rendere di nuovo grande l’America”, mentre poco oltre si tiene una più rumorosa e partecipata contro-manifestazione pro Kamala Harris. L’atmosfera newyorkese pre-elettorale si presenta con tutte le sue meraviglie e le sue contraddizioni. Abbiamo chiesto a Fabrizio Girolami, a cui appartiene la frase tra virgolette in questo incipit, di raccontarci l’atmosfera che si respira a New York alla vigilia del voto americano. E lo ha fatto in tre tappe e con tre fotografie. La prima, al Museo dell’immigrazione di Ellis Island, “un posto che tutti dovrebbero visitare”. La seconda passa per la Abyssinian Baptist Church di Harlem. La terza è una tappa “mentale”, in cui si intrecciano gli ebrei ortodossi fra Williamsburg e Brooklyn con i venditori di gadget elettorali, che non parlano nemmeno inglese. Fabrizio Girolami è cresciuto in una grande famiglia battista (la nonna, Elena Mangione, è stata un punto di riferimento importante in seno all’Unione cristiana evangelica battista d’Italia – UCEBI -, così come il nonno, Mario Girolami). Da sempre appassionato di politica internazionale e laureato in sociologia politica, Fabrizio Girolami si trova in vacanza a New York anche e proprio per voler osservare da vicino questo evento di grande importanza per tutto il mondo.

Dal Museo dell’immigrazione di Ellis Island, New York, novembre 2024 – foto di Fabrizio Girolami

Prima tappa, Museo dell’immigrazione di Ellis Island

“1921, il congresso degli Stati Uniti introduce delle quote per l’immigrazione, una sorta di nostra Bossi-Fini. Le persone in foto hanno attraversato l’oceano nella miseria della terza classe di un transatlantico e come tutte sono state inviate sull’isola di Ellis per un periodo di quarantena-detenzione che oltre che per motivi sanitari serve anche a capire, dopo un’attenta operazione aritmetica, se spetta loro un permesso di soggiorno. Purtroppo sono italiani e la quota di nostri connazionali per il 1921 è stata già raggiunta e a nessuno importa se hanno attraversato l’oceano in condizioni disperate e che per pagare un biglietto di terza classe si sono venduti tutto. Ripresa la valigia di cartone vengono rispediti a casa, la foto cattura proprio il momento dell’imbarco”.
Con questa “didascalia”, già respiriamo un po’ di quell’aria americana, che in quasi cento anni ha cambiato tutto per non cambiare niente, alla luce del razzismo sistemico ancora radicato nel Paese.

Uno screenshot dal live stream del culto del 3 novembre 2024 presso la Abyssinian Baptist Church di New York – Our Voice, Our Vote, Our Victory | Dr. Kevin R. Johnson Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=Q4ygCBadXe4

Seconda tappa. La Abyssinian Baptist Church

Il nostro viaggiatore si sposta poi ad Harlem. “Al terzo tentativo sono finalmente riuscito a entrare nella Abyssinian Baptist Church, dove assisto a una funzione religiosa carica di energia e spiritualità travolgente. Da due ore prima si riversano nella 138esima strada di Harlem centinaia se non migliaia di turisti che cercano di entrare”. L’attrattiva è il coro gospel, che coinvolge tutta la comunità. Ma non solo, ci sono preghiere, testimonianze, letture. A un certo punto, un appello a registrarsi per il voto, praticamente a suon di musica. La chiesa inizia a svuotarsi. Sono molte le chiese protestanti americane a essersi mobilitate per la campagna per il diritto di voto.

Vota con amore. Campagna delle chiese americane in vista delle elezioni

Ebrei ortodossi a New York, novembre 2024 – foto di Fabrizio Girolami

Terza tappa. Un popolo di ebrei, di ispanici, di elettori…

Ultima tappa, come abbiamo anticipato, è una tappa tutta mentale. “Ieri ho trascorso due ore a Williamsburg, dove vivono gli ebrei ultraortodossi chasidici aschenaziti di lingua yiddish. Sono alcune decine di migliaia e al loro interno esiste anche un sentimento antisionista – racconta Fabrizio Girolami -. Il contrasto con altre atmosfere della città che ho osservato in questi giorni, dalla danza thriller alla parata di Halloween a West Village al ‘popolo’ dell’NBA, ci restituisce un’immagine poliedrica e complessa di questa città emblematica. Mi ha fatto riflettere, ad esempio, che tutti i venditori di gadget abbiano sia quelli di Kamala Harris che quelli di Trump. Sono tutti stranieri che non parlano inglese quindi presumibilmente con situazioni di irregolarità, o appena sanate o precarie. Non sono probabilmente coscienti di quello che sta avvenendo. Se chiedi una maglietta di Kamala Harris molti ti chiedono: ‘di chi?’, mentre espongono i cappellini con gli slogan di Trump che probabilmente sono un gadget molto richiesto dai turisti. In generale l’impressione è che il livello di analisi critica sia davvero molto basso. In ambito repubblicano c’è in atto una campagna denigratoria e offensiva nei confronti di Harris che serve a mascherare un programma che se venisse messo in atto risulterebbe socialmente molto pericoloso. I democratici riescono ad abusare meno di slogan e a puntare anche sui contenuti di un programma che prevede miglioramenti importanti su lavoro e sanità, ma pochissimi media a parte il New York Times e The New Yorker danno visibilità a questo aspetto, che è più facile trovare sui canali social dei candidati dove difficilmente transita la massa indecisa e poco informata che risulterà fondamentale per l’esito del voto. Sui media in lingua spagnola abbiamo trovato pochissimo e il paradosso è che, nonostante le promesse di politiche fortemente repressive verso gli immigrati, l’elettorato di Trump sia formato anche da tanti ispanici dove ogni singola comunità ha una motivazione per appoggiarlo che risulta ai nostri occhi carica di contraddizioni. Non ci resta che aspettare l’esito di queste elezioni, che saranno il frutto di questo variegato popolo americano”. Un popolo che, forse, sta ancora sognando.