Coronavirus. Testimonianza dalla Puglia: “L’individualismo aiuta il virus”

Intervista al pastore battista Dario Monaco, della chiesa di Mottola, a 30 chilometri da Taranto. Servono responsabilità, forza e coraggio

Foto Dimitri Karastelev - Unsplash

Roma (NEV), 10 marzo 2020 – Da questa mattina tutta l’Italia è “zona protetta”. L’emergenza coronavirus (COVID19) ha indotto le autorità a limitare ulteriormente gli spostamenti, chiudendo scuole, attività culturali e di svago fino al 3 aprile. Non più “zone rosse”, quindi, ma unità politica e geografica, isole comprese, per quanto riguarda l’applicazione dell’ordinanza annunciata ieri sera dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

L’Agenzia NEV ha interpellato il pastore battista Dario Monaco, della chiesa di Mottola, che si trova 30 chilometri a nord di Taranto.

Com’è la situazione in Puglia?

Qui, per ora, sembra tutto abbastanza tranquillo; ci sono poche persone in giro, ma le stime le faremo più avanti. Giovani in giro non ce ne sono, mentre le persone anziane sembrano avere avuto meno percezione del rischio, fino a quando non hanno visto l’assalto ai treni per tornare al sud. Allora ho visto una rabbia comprensibile, ma forse esagerata, verso figli e nipoti che potrebbero essere portatori di infezione. Sono scelte agli antipodi: tornare a casa o, responsabilmente, restare al nord. C’è chi, potendo fare il furbo, non l’ha fatto.

Viaggi e fughe, nord e sud, Italia zona protetta. Secondo lei c’è modo di ricucire la fiducia fra le persone e fra i territori in una situazione emergenziale?

Non so quanto ci sia da ricucire. Potremmo interpretare l’emergenza come un incontro di opposte paure, di panico declinato diversamente fra la persona che fugge e vuole andarsene e la persona che non vuole accogliere. Hanno la stessa paura. L’ironia vuole che chi, per mesi e anni, si chiedeva cosa scappassero a fare gli altri, appena è successo qualcosa di grave vicino casa sembra essere il primo pronto a fuggire, o a scappare in vacanza. Continuo ad avere in testa “La maschera della morte rossa” di Edgar Allan Poe, un racconto del 1842 in cui il principe Prospero, per sfuggire a una pestilenza, si rinchiude nel suo castello con amici, cortigiani e scorte di cibo. Dopo alcuni mesi, organizza una festa in maschera alla quale si presenta uno mascherato da morte. Pensano a uno scherzo di cattivo gusto e quando, spaventati, lo catturano e tolgono la maschera, sotto non c’è niente. È la personificazione della peste, che è entrata nel palazzo e ha portato la morte. Anche noi tendiamo a reagire in questo modo.

Le chiese sono chiuse. Come ha reagito la comunità?

Mi sembra che la comunità stia reagendo responsabilmente. Proprio questa mattina, con i pastori di Puglia e Basilicata, abbiamo fatto il punto della situazione. Da oggi saranno chiuse tutte le attività, alcuni membri di chiesa non vogliono neanche prendere un caffè. La paura, in particolare quella dell’ignoto, fa da padrona.

Foto di Dario Monaco

Le visite pastorali sono sospese. Come funziona la cura d’anime in questi tempi di rischio, isolamento, indeterminatezza?

Solo domenica scorsa ci eravamo dati appuntamento per la domenica successiva, avevamo già sistemato la chiesa per avere più di un metro a disposizione per tutti. Stessa cosa per lo studio biblico. Da oggi invece, è tutto cambiato.  Mi dispiace per le visite pastorali alle persone anziane, che avrebbero bisogno di più cure e attenzioni, ma sono anche quelle che devono vedere meno persone possibile e vanno più protette. Farò un giro di telefonate, sfrutterò i mezzi informatici, come whatsapp e la pagina facebook della chiesa.

Ma confido molto anche nel tessuto sociale allargato, perché non è detto che il pastore possa fare tutto con tutti. In questo momento anche aiutare è complicato, perché bisogna evitare i contatti esterni ai nuclei familiari.

Dove si trova Dio, in tutto questo?

Dove è Dio? E dove si fa trovare, dove lo puoi trovare? Dio è sempre negli interstizi fra le cose. Il nostro Dio, che è il Dio del tutto, non si rivela mai nell’intero. Nell’Antico testamento Egli dice a chiunque, anche al suo profeta preferito, mi dispiace, ma non mi puoi vedere tutto, mettiti in quel buco, girati di spalle, chiuditi gli occhi con le mani, urla, e quello che capirai sarà il mio messaggio. Non è un fuoco impetuoso, ma è come un “rumore di silenzio”. Lo troviamo quando ci fermiamo, quando impauriti non ci facciamo prendere dal panico, quando respiriamo. Se volessimo fare una scelta new-age potremmo dire di fare un bel respiro, prendersi tempo, non andare a cercare compulsivamente notizie su internet e in tv. Stare attenti a ciò che facciamo, a quello che dobbiamo fare, e andrà tutto bene. Dio è soprattutto nella riconciliazione e nella consolazione, quindi Dio è anche nella malattia, nella terapia intensiva, è con tutte quelle persone che non ce la stanno facendo o che hanno problemi a farcela.

Come si traduce la responsabilità personale nella vita di tutti i giorni, come credenti e in generale?

È strano questo Dio onnipotente che si esprime nella debolezza. Ma non possiamo dire nulla di più. In questo mondo in cerca di prove, di gente che vuole le prove, dobbiamo anche permetterci di dire che la nostra prova è quella della cura di Dio, che siamo qui e ce la faremo, e che la paura si combatte con Lui. Non sarebbe serio dire “prega e non succederà niente”. Se diciamo “prega come Gesù” diciamo di chiudere la porta della nostra cameretta e chiedere a Dio di proteggerci, non certo di darci il permesso di andare al raduno dei puffi in Francia con la certezza che Dio ci salverà. Dio si trova nella mia responsabilità di fare, quindi anche nel rispetto delle regole.

Questa emergenza rischia di tirare fuori il peggio o il meglio delle persone. Cosa ne pensa?

Domenica scorsa, nel sermone, dicevo che abbiamo troppa paura di prenderci la malattia e troppo poca di attaccarla agli altri. Questo individualismo aiuta il virus, motivo per cui si è allargato così tanto. Se avessimo valutato utile o inutile uscire con la mascherina, se avessimo valutato il rischio di essere un vettore per gli altri, forse avremmo fatto scelte diverse. Però parlo da persona che vive in una provincia dove ci sono solo 3 casi.

Se abitassi a Codogno forse parlerei in modo diverso. Se mi trovassi in un contesto di isteria di massa, come reagirei io? La mia dose di panico è calmierata al momento, ma non mi sento di giudicare chi è andato nel panico. Non condivido, invece, l’atteggiamento di chi cerca scorciatoie. Io non lo faccio e predico di non farlo. E so anche che non sarà una formula magica a salvarci, e forse nemmeno amuchina e mascherine. Meglio l’isolamento. Anche lì possiamo trovare Dio. Dio non è una scorciatoia, non è una formula magica, ma è forza e coraggio senza armi. Non per niente l’apostolo Paolo usa molto più spesso la metafora della corazza e dell’armatura di Dio, che non quella della spada o della lancia di Dio. La nostra relazione con Dio ci aiuta e ci permette di affrontare le situazioni, per passarci attraverso.

Che previsioni ha rispetto al futuro e all’emergenza?

È un lungo percorso, non sappiamo quanto durerà. Sicuramente fino al 3 aprile. Se passeremo insieme la Pasqua non si sa. Io sono originario di Genova, la mia famiglia è a mille chilometri di distanza. Mi sento di riprendere il Salmo 23, dove troviamo l’ombra, dove l’ombra assomiglia alla morte, dove non c’è la vittoria sfolgorante sul carro del condottiero, ma sappiamo che quando mi trovo nel lungo percorso dell’oscurità “Tu sei con me”.