Tveit (CEC): “Siate coraggiosi, condividete i segni della speranza”

Dopo 10 anni Olav Fykse Tveit lascia il suo incarico di segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC)

Foto di Albin Hillert/CEC

Roma (NEV), 31 marzo 2020 – Dopo più di dieci anni alla guida del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), il pastore Olav Fykse Tveit, lascia l’incarico di segretario generale dell’organismo ecumenico globale e, dal 1° aprile, assumerà ufficialmente il ruolo di vescovo presidente della Chiesa di Norvegia, una chiesa di tradizione luterana.

CEC News e l’Agenzia di stampa NEV della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, hanno collaborato per la realizzazione di un’intervista che pubblichiamo di seguito.

Tveit descrive il lavoro per cui è stato scelto come un “privilegio” e una “benedizione” e dice che lascia il suo incarico con un sentimento di ottimismo nei confronti del movimento ecumenico.

“È estremamente importante che le chiese siano in grado di dire, camminiamo, preghiamo, lavoriamo insieme”, ha detto Tveit.

Lei sta per intraprendere un nuovo viaggio dopo più di 10 anni come segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese. Cosa ci può dire su questi anni?

E’ stata una benedizione; una parte molto ricca della mia vita che ho vissuto come una chiamata a servire tutta la famiglia cristiana, in particolare le chiese membro del Consiglio ecumenico delle chiese, ma che mi ha aperto a orizzonti di servizio ancora più ampi. Penso al lavoro che possiamo svolgere insieme come comunione per le chiese nel mondo, per l’intera umanità, per la pace, per la giustizia, per la riconciliazione, per tutti coloro che hanno bisogno di una voce cristiana, per essere una voce di speranza.

Come valuta questo periodo alla guida del CEC?

Credo che si possa dire che è stato un tempo in cui abbiamo sottolineato che siamo un unico movimento ecumenico, una comunione.  Siamo uno nel rendere un servizio con competenze e funzioni diverse, ma anche con prospettive diverse. Serviamo lo stesso obiettivo, quello di essere al servizio delle chiese per l’unità e per la testimonianza comune nel mondo.

Come è il CEC che lascia?

Abbiamo affrontato molte sfide in questi 10 anni. Alcune di queste erano legate alla sostenibilità del CEC: comprendere se è necessario, se riscuote fiducia tra le chiese e i nostri partner nel mondo. E sento che durante questo periodo è stata fatta una maggiore chiarezza sul nostro mandato, con nuovi modi di lavorare, nuovi modi di relazionarci, con un senso di responsabilità reciproca. Vedo che c’è più bisogno del CEC di quanto pensassimo alcuni anni fa. Ci troviamo in un mondo che è in pericolo, un mondo diviso, in cui vediamo che anche la religione è usata come forza divisiva.

Come ci si può opporre a questo uso perverso della religione?

È estremamente importante che le chiese possano dire: stiamo camminando, stiamo pregando, stiamo lavorando insieme, come abbiamo fatto quando papa Francesco ha visitato il Consiglio ecumenico delle chiese in occasione del nostro 70° anniversario. Per me quello è stato un segno dell’unità del movimento ecumenico. Alcuni dicono che stiamo passando da un inverno ad una primavera ecumenica, una stagione ricca di nuove opportunità, nuove possibilità. Una stagione che ci porta a servire il Dio della vita, che crea la vita, protegge la vita, serve la vita, e ci chiama a farlo ovunque e insieme. Questa vita è la vita data da Gesù Cristo attraverso la sua crocifissione, attraverso la sua risurrezione. Questa è la vita a cui anche noi siamo chiamati e possiamo condividere insieme. 

Come hanno lavorato insieme le chiese?

Penso che ci sia stato un ritorno alla base del mandato del CEC, alla base della nostra fede e anche alla base dei nostri bisogni umani come una sola creazione, come un’unica umanità. Vediamo anche che in alcune famiglie ecclesiastiche sono attraversate da molte sfide. Alcune di esse riguardano questioni morali ed etiche. Ma vediamo anche una nuova volontà, ben oltre l’appartenenza al CEC, di dire: “Testimoniamo insieme, testimoniamo in modo credibile attraverso le nostre parole, ma anche con quello che facciamo insieme”. In questo senso, sono ottimista sul movimento ecumenico.

E il rapporto del movimento ecumenico e le altre religioni?

Il dialogo interreligioso è la testimonianza cristiana della volontà di costruire relazioni, prendersi cura dell’altro e costruire rapporti che la comunità locale, nazionale, internazionale può vivere insieme come un’unica famiglia con persone di fedi diverse. Il dialogo interreligioso, e in particolare il dialogo che serve la giustizia e la pace, è molto necessario. E, molto probabilmente, sarà anche una priorità significativa negli anni a venire.

Di cosa hanno bisogno le Chiese per impegnarsi in questo lavoro?

Soprattutto di essere sostenute. Abbiamo bisogno di risorse, abbiamo bisogno di partner che possano finanziare i nostri programmi e progetti. Abbiamo bisogno di risorse umane e di personale qualificato. Abbiamo bisogno di giovani da coinvolgere per costruire la prossima generazione del movimento ecumenico. Ma abbiamo anche bisogno di un sostegno spirituale per fare questo tipo di lavoro. Per me è molto importante sapere che stiamo pregando insieme; questo dà forza e motivazione per affrontare le sfide. Sapere che non siamo soli e che agiamo seguendo la chiamata di Dio.

Cosa vorrebbe dire a chi continuerà a lavorare nel Consiglio ecumenico delle chiese?

Siate coraggiosi; trovate il modo di comunicare che siamo davvero insieme e che non siamo qui per noi stessi. Siamo qui per servire noi stessi e le nostre comunità. E naturalmente dobbiamo ringraziare il Signore per la sua chiamata, e per il modo in cui Dio ci sostiene e ci incoraggia dandoci sempre nuove opportunità e nuove maniere di vedere e condividere i segni della speranza.

Dal punto di vista personale cosa ha significato essere alla guida del CEC?

Essere segretario generale è anche un compito pastorale; prendersi cura dei colleghi, prendersi cura di ciò che facciamo, di ciò che diciamo, pregare insieme, come veri testimoni di Cristo. Ma è stata anche un’esperienza che ha rafforzato la mia fede e mi ha aiutato a comprendere quanto sia importante che la Chiesa sia una cosa sola – la Chiesa è una sola in Cristo. In questi anni la mia fede è stata rafforzata.

Qual è la relazione tra la fede e ciò che stiamo vivendo nel mondo in questo momento?

La creazione del Signore, e soprattutto il vero amore di Dio, sono molto importanti in questi giorni in cui temiamo di vedere qualcosa che non abbiamo mai visto prima. Temiamo il virus. Temiamo la pandemia. Temiamo il suo effetto su molte persone in tutto il mondo, ricchi e poveri, e in particolare su coloro che sono già meno privilegiati, coloro che hanno meno risorse, meno accesso all’acqua pulita, al sapone e ai servizi sanitari e anche al sostegno economico. Temiamo che questo influenzerà la vita quotidiana di tante persone in tutto il mondo. Questo è il momento di dire che crediamo in Dio, che è il nostro pastore. Dio ci mostra il suo favore per mezzo di Gesù Cristo, che è venuto da noi e ci ha detto: “Io sono il buon pastore”. E soprattutto quando siamo chiamati ad affrontare le crisi dobbiamo ricordare a noi stessi che la promessa di Dio è la stessa: “Sarò con voi fino alla fine dei giorni di questo mondo”.

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