Cristiana Voglino. Il teatro, l’amore e la pedagogia del coraggio

Intervista alla cantante e attrice di Assemblea Teatro, intervenuta durante la Settimana di eventi delle chiese metodiste e valdesi con uno spettacolo contro la violenza sulle donne

Cristiana Voglino

Torre Pellice (Torino), 28 agosto 2020 – Nel corso della Settimana “#senzasinodo” delle chiese metodiste e valdesi, la Federazione femminile valdese e metodista (FFEVM) e la Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI) hanno organizzato un dibattito sulla salute delle donne, il cui resoconto si può leggere qui, e lo spettacolo della cantante e attrice Cristiana Voglino di “Assemblea Teatro”.

Abbiamo rivolto a Cristiana Voglino alcune domande.

Questo spettacolo contro la violenza sulle donne nasce appositamente per la Settimana #senzasinodo. Cosa ha provato nella scelta dei testi e delle canzoni?

Avevo molta voglia di costruire questo spettacolo, la cui organizzazione è avvenuta con un passaparola velocissimo. Ho sentito il dovere di andare dentro il tema, che avevo già affrontato in spettacoli precedenti con delle colleghe, ma è stata una grande sfida farlo da sola.

Mi occupo da anni di pedagogia del coraggio, che è una disciplina che cerca di rieducare le persone, e le donne, ad aumentare il proprio livello di resilienza. Con Assemblea teatro lavoriamo sempre su tematiche di impegno sociale e civile. Per me, questo è il teatro.

Cosa ha cercato di trasmettere sul tema della violenza contro le donne?

Di materiale sul tema della violenza, purtroppo, se ne trova molto. Riguardo alle testimonianze, non volevo leggere in terza persona… la forza del teatro è quella di fare tue quelle parole. Ho la fortuna di non aver subito violenza, ma quello che ho sperimentato nella mia vita personale e professionale è che il dolore ha dei colori emotivi che si assomigliano. La violenza della malattia, dello star vicino a persone che ami e che soffrono, ad esempio, sono dolori che possono avvicinarsi e avvicinare.

Ho pensato molto se fare o non fare il monologo di Franca Rame “Lo stupro” perché mi sono posta fortemente, anche tre minuti prima di andare in scena, se io avessi o no il diritto di parlare di questa cosa a delle persone che forse, all’interno del pubblico, potrebbero aver vissuto questo tipo di esperienza. Per questo ho cercato di spiegare nella presentazione, con tutta la prudenza possibile, che sarei andata diretta sull’argomento, con la scrittura originale di quel brano. Penso sia importante non far finta che non esista.

Spesso, quando si parla di donne e di violenza, il pubblico è prevalentemente femminile. Ha delle proposte per ampliare la platea anche agli uomini?

Ieri è arrivata una risposta da una persona del pubblico. Un insegnante della materna in pensione ha detto che andrebbe fatto un lavoro di educazione all’affettività, al rapporto, alle relazioni. Uno dei brani che ho scelto parla di come siamo sostanzialmente animali diversi. Dobbiamo imparare a conoscerci. È una mia opinione, ma credo che nel bene e nel male, antropologicamente, uomini e donne siano animali diversi e abbiano diverse sensibilità.

Quindi, se da un lato c’è bisogno di denunciare le violenze, dall’altro c’è bisogno di fare un lavoro ai margini. Rispetto il fatto che qualcuno non se la senta di affrontare questi temi, o perché ha vissuto una violenza, o perché anche solo sentirne parlare risulta disturbante. Mi è successo qualcosa di simile quando ho elaborato il testo “Aiutami a non aver paura”, che parla di malattia oncologica nei bambini.

Ho cercato di fare un lavoro che arrivasse ai genitori in tempi non sospetti. Questo credo sia il modo più corretto per accostarsi a questi argomenti. Lavorare sulla prevenzione e sul concetto di reciproco rispetto.

Qual è il suo rapporto con le valli valdesi?

Un rapporto bellissimo e molto di pancia. Ho sposato felicemente il direttore del coro valdese di Torino Flavio Gatti. L’ho conosciuto perché compose le musiche per lo spettacolo “Fuochi” che parlava dell’epopea valdese. Era il 1993 ed era la prima volta che sentivo parlare dei valdesi, attraverso gli occhi di Giorgio Bouchard e Giorgio Tourn che mi aiutarono nello studio del testo e dei personaggi della storia. Ci si confrontava con queste menti straordinarie e fu il mio primo approccio con il mondo protestante. Il viaggio non si è mai fermato, ho conosciuto poi i battisti, i metodisti, ho avuto la fortuna di andare in tournée a Colonia Valdense in Uruguay. Insomma è stato un incontro attraverso il teatro e attraverso l’amore.

Poi entrai nel coro valdese di Torino, ho conosciuto Gisella Bein che divenne mia amica e maestra, e Susanna Chiarenzi e tante altre donne importanti del protestantesimo italiano, che ho scoperto essere sempre pronto a battersi per i diritti, dai diritti delle persone omosessuali, a quelli delle donne, dei migranti, di tutti.

Cosa si sentirebbe di dire agli uomini e alle donne per superare la violenza?

Ascoltare. Ascoltare è la cosa più importante. Prima di pretendere di farsi ascoltare, bisogna anche ascoltare se stessi. È una cosa che abbiamo completamente perso. Ognuno dovrebbe fare un grande lavoro su se stesso. Tanta violenza arriva dal fatto che spesso nelle coppie ci si parla addosso senza accogliere l’altro per quello che è. Le persone che hanno dentro una forte pulsione devono essere aiutate e sostenute in una rete, a livello sanitario ma anche sociale, affinché imparino a convogliare i propri sentimenti negativi, ad accogliere i problemi, superando la rabbia. Il punto di base è conoscere il proprio livello di resilienza. Se ognuno di noi si conoscesse meglio, avremmo risolto molti problemi. Non bisogna per forza essere coraggiosi, la resilienza ad esempio nella fisica dei materiali ci insegna che ognuno può essere più o meno flessibile nel sopportare le tempeste della vita. Prendere atto del proprio livello, capire chi può sostenere l’onda d’urto maggiore ci può aiutare a gestire le relazioni. Se mettiamo insieme due intolleranti mettiamo in difficoltà il sistema, dobbiamo invece disinnescare il meccanismo della violenza a monte.