Sabina Baral: Lo “sguardo poetizzante” nel dire Dio oggi

Dalla “teologia del fallimento” alle domande sulla centralità di Gesù Cristo, qualche riflessione sulla fede a partire dal libro “Credenti in bilico” edito da Claudiana.

Presentazione del libro "Credenti in bilico", Torre Pellice, 26 agosto 2020 - foto NEV

Roma (NEV), 10 settembre 2020 – Sabina Baral è curatrice, insieme ad Alberto Corsani, del libro “Credenti in bilico. La fede di fronte alle fratture dell’esistenza”, edito da Claudiana e uscito in libreria a febbraio 2020. Il volume ha suscitato diverse reazioni e ha acceso il dibattito intorno ai temi della fede e della centralità di Gesù Cristo per i credenti.

L’agenzia NEV ha raccolto qui alcune riflessioni di Sabina Baral, sia in merito ai contenuti del libro sia sulle motivazioni che hanno spinto alla sua stesura, con l’intenzione di aprire una discussione e approfondire il significato della fede da differenti punti di vista.

“Sarebbe bello indagare i diversi modi di dire Dio oggi, le nostre diverse pietà personali – scrive Sabina Baral –. Anzi sarebbe venuto il momento di condividerle, di metterle sul piatto, perché sono più di quelle che pensiamo…  Ma la mia preoccupazione è sempre quella di fare attenzione a non cedere a un discorso troppo umano che non preservi l’assoluta alterità di Dio”.

Sabina Baral (a destra) e Bruna Peyrot

Prosegue la curatrice: “Io non mi sento affatto padrona del mio vivere; mi sento, al contrario una creatura eterodiretta, convinta che la Signoria su di me ce l’abbia solo Dio… in questo libro si ribadisce la necessità di ritornare alla teologia della croce, a quella che io scherzosamente chiamo la teologia del ‘flop’”.

Si tratta di una sorta di “teologia del fallimento”, di cui ha parlato recentemente anche il pastore Luca Baratto, in un ciclo di tre predicazioni al Culto evangelico, programma di Radiouno RAI, su “i falliti della Bibbia”, animato dall’idea che “C’è più da imparare dagli errori che dai successi”.

“È quello che fa il teologo cattolico Bruno Forte in questo testo ed è quello che, in parte, si è attirato le critiche più dure – racconta Baral –. Quella che io definisco una sana cristologia (e che come protestante mi sento di sottoscrivere in pieno, un’obbedienza umile della fede che non ha nulla a che fare con l’ideologia, con la superbia di chi vuole rinchiudere Dio in formule stereotipate o rigide) è stata molto criticata perché vista come dogmatica, assoluta, piena di maiuscole”.

Si può, come credenti, fare a meno della centralità di Gesù Cristo? È sufficiente descrivere il percorso accidentato della fede oggi?

“Io ci tengo a dire che questo nostro libro descriva bene il contesto attuale di incertezza teologica e fragilità spirituale in cui ci troviamo immersi. E indica la provvisorietà, le penombre come luoghi per aprirsi all’ascolto profondo di sé, degli altri e di Dio. Come a dire: Dio non è più nei grandi progetti ma nelle lacune, negli interstizi, nei chiaroscuri delle nostre esistenze. Però di questo stato delle cose non si bea, non si compiace. Non so dire se ci sia una nostalgia verso una nuova sistematica, ma certamente non pensiamo di poter dismettere la figura di Gesù Cristo” sostiene Sabina Baral. E insiste: “Assumiamo questa cristologia anche con le sue maiuscole perché, fra l’altro, rivelano uno sguardo poetizzante nel dire Dio e oggi l’estetica può essere di aiuto alla teologia, ne sono convinta. Non a caso il libro intreccia la teologia con molte altre discipline (una è la psicoanalisi ma l’altra è la letteratura, la poesia). Queste discipline, fatte di ascolto, contemplazione, domande, possono aiutarci a ritrovare un nuovo alfabeto dell’anima, a proteggere alcune verità fondamentali per l’essere umano”.

Citando il pastore Gianni Genre, Baral conclude: “‘la fedeltà di Dio è più forte della nostra infedeltà’. Perché Dio ha bisogno di fedeli e non di follower e la sua Parola, per fortuna, non invecchia e non necessita di essere aggiornata come una app del nostro telefono. È lì, pronta a farsi leggere e rileggere ogni volta, a farsi scavare, approfondire. È una Parola con cui lottare e che ci ricorda che quella della fede resta un’appassionante avventura… E questa fede si alimenta di una Parola che ci rende liberi ma di una libertà che possiamo sperimentare solo nella misura in cui la nostra volontà e la nostra coscienza diventano prigioniere di quella Parola. E questa fede destabilizza anche la nostra soggettività. Con buona pace della nostra arroganza e pretesa di autosufficienza”.


Per partecipare alla discussione, potete inviare i vostri commenti a nev@fcei.it – i contributi più interessanti saranno oggetto di ulteriori approfondimenti entro dicembre 2020.


I virgolettati qui pubblicati sono tratti dall’intervento di Sabina Baral in occasione della  giornata teologica “G. Miegge” tenutasi nel corso della settimana “Generazioni e Rigenerazioni. Avere cura di persone, memorie e territori”, la rassegna da poco conclusasi nei giorni solitamente dedicati al Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, quest’anno rinviato a causa del coronavirus.

All’incontro hanno partecipato anche Romano Madera, filosofo e psicanalista fondatore dell’Analisi biografica a orientamento filosofico (ABOF) e Bruna Peyrot, presidente della Fondazione Centro culturale valdese, fra le organizzatrici della giornata e fra gli autori del libro (leggi qui il relativo articolo su Riforma).