“Salute significa salvezza”

La Federazione delle donne evangeliche (FDEI) e la rivista e centro studi Confronti hanno presentato “Il quaderno FDEI: 16 giorni per vincere la violenza”, in una tavola rotonda online dal titolo “La salute è donna?”. L’appuntamento si è svolto oggi, mercoledì 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

foto di Victoria Strukovskaya, unsplash.com

Roma (NEV), 25 novembre 2020 – La salute come diritto di genere. Oggi, 25 novembre, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la Federazione delle donne evangeliche (FDEI) e la rivista e centro studi Confronti hanno presentato il quaderno FDEI: “16 giorni per vincere la violenza”, in una tavola rotonda dal titolo “La salute è donna?”. Più di 80 partecipanti hanno seguito il dibattito, in diretta sulla pagina fb di Confronti e moderato dal direttore della rivista, Claudio Paravati.

La Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI) ha realizzato, come di consueto in occasione della giornata dedicata alla lotta contro le violenze di genere, un fascicolo “16 giorni per vincere la violenza” che quest’anno ha per titolo, come sottolineato anche nel dibattito online, proprio “La salute è donna?”.

La pastora battista Gabriela Lio, presidente della FDEI, introducendo l’incontro, ha spiegato: “Pubblichiamo questo quaderno dal 2007, su proposta del Consiglio ecumenico delle chiese ad aderire alla campagna del 1991. La violenza contro le donne viola i diritti umani: per questo la campagna dei 16 giorni collega due ricorrenze importanti e va proprio dal 25 novembre, giornata internazionale per la lotta contro la violenza sulle donne al 10 dicembre, giornata mondiale per i diritti umani. La campagna mondiale vuole dare visibilità al fatto che una donna su tre ha subito violenza e che la violenza maschile adotta diverse forme”. I dati parlano chiaro. “Fra marzo e giugno 2020 il numero verde 1522 ha ricevuto oltre 15mila richieste di aiuto, raddoppiando il dato dello stesso periodo del 2019. Dall’inizio dell’anno a oggi 96 donne hanno perso la vita per femminicidio”. Dal 2000 al 2020 sono state più di 3mila le donne uccise. “Quest’anno abbiamo scelto il tema della salute – ha continuato Lio – perchè lo abbiamo fatto nel primo periodo di sconfinamento, la salute quindi era proprio il primo pensiero di tutte e tutti. Che cosa c’entra con la violenza? La violenza ha delle ripercussioni enormi sulla salute delle donne, è un problema di salute enorme, dal punto di vista mentale, sessuale, fisico, psicologico ma anche riproduttivo”.

Per Claudia Discipula Angeletti, responsabile stampa e comunicazione della pubblicazione della FDEI, “il tema della salute si è imposto da solo. E abbiamo dovuto rispondere al nostro interrogativo del titolo che la salute non è donna, per diversi motivi: la donna è considerata un essere umano di serie B e questo incide sul suo percorso di vita. Inoltre la donna subisce lo stress della disparità costante nel lavoro, sia come riconoscimento del carico che come condizioni. Infine, la violenza. Se consideriamo come salute il concetto dell’Organizzazione mondiale della Sanità, ovvero uno stato di benessere completo, sociale, psichico e fisico, quindi, non possiamo dire che esso sia garantito per le donne, è anzi sempre molto difficile da raggiungere e da mantenere”.

Il testo della FDEI è stato suddiviso in vari sotto argomenti – “cosa dovrebbe essere, cosa  non va e come poter uscire da ciò che non funziona”, in cui si pone l’attenzione sulle “ricette” per garantire il diritto alla salute delle donne. Una di queste soluzioni sarebbe la medicina di genere.

Per Barbara Olivieri Caviglia, presidente dell’Ospedale internazionale evangelico di Genova, “l’OMS definisce la medicina di genere come lo studio delle differenze biologiche, definite dal sesso, e socioculturali, definite dal genere, sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. La medicina è sempre stata impostata in maniera androcentrica e l’interesse sulla salute delle donne era relegato prevalentemente sugli aspetti riproduttivi. Dagli anni ’90 si è cominciato ad introdurre un nuovo concetto di medicina cioè l’impatto del genere sulla salute. La prima a parlarne è stata ovviamente una donna”, la cardiologa americana Bernardine Patricia Healy. 

E “l’Italia è stato il primo paese in Europa a formalizzare l’inserimento del concetto di genere in medicina con una legge del 2018”. Secondo Caviglia la “femminilizzazione delle professioni mediche è un’importante realtà che sta cambiando il volto della medicina. Il 70 per cento di donne rappresenta la forza lavoro nella sanità ma purtroppo solo il 25 per cento ricopre posizioni apicali: ad esempio, negli ospedali è raro trovare direttori generali o primari donne”. Non ci sono – o non sono comunque tante – le donne nella “cabina di regia”, insomma, come si è evidenziato nel corso dell’emergenza sanitaria del Covid19.

I consultori, in questo quadro, sono un luogo particolarmente importante. Secondo Adriana Bruno, ginecologa e coordinatrice dell’area Sud-Ovest dei consultori romani, “forse il nuovo stigma sociale (dei consultori) è la fruizione maggiore da parte di strati emarginati, delle donne straniere in particolare. Ma il consultorio è utilizzato da fasce eterogenee”. Per Antonella Di Berto Mancini, psicologa, fu proprio “l’istituzione dei consultori a sancire una medicina di genere e l’importanza della medicina per le donne. I consultori purtroppo sono diventati più ambulatori che punto psico-sociale mentre andrebbero rafforzati. Il lavoro di questi spazi è diventato sempre più complesso ma si è svuotato purtroppo di personale: servono assunzioni e capillarità sul territorio”.

E gli uomini? “In Italia dei gruppi hanno cominciato ad interrogarsi su se stessi – sulle donne hanno dettato legge -, sul maschile, su chi siamo noi – ha detto il pastore valdese e teologo Daniele Bouchard – . Le donne ci hanno sfidati a scoprire la differenza maschile e ci siamo cominciati ad occupare di cosa questo significa. All’interno di questa riflessione – da più di dieci anni – gli uomini hanno cominciato a mettere a fuoco il tema della violenza come tema importante. E la domanda che ci siamo fatti è: la violenza è uomo? La violenza è “maschia”? In che modo ci interroga in quanto uomini? E la risposta è sì, la violenza ha un genere, è maschile. Questa è stata la scoperta importante, l’essere maschi nella nostra società patriarcale, non per ragioni biologiche, significa essere parte di un sistema violento che si esprime in molte forme”.

Le chiese e la medicina che ruolo e che punti di contatto possono avere, rispetto a questi temi? Per la pastora e medico Ilenya Goss “Il discorso medico e quello teologico sono due modi di osservare l’essere umano che vanno tenuti insieme: cura e ascolto”.

A che punto è il discorso di genere? La teologa e pastora della Chiesa battista Elizabeth Green lo ha definito nel suo ultimo libro “Un percorso a spirale”. Se da una parte si nota, ad esempio, un certo “fermento nella chiesa cattolica”, dall’altra, ha spiegato Green, “non siamo tutti allo stesso punto: per alcuni la discussione è avanzata, per altri no. La questione di genere, in ogni caso, interessa tanto le donne quanto gli uomini solo che molti uomini non l’hanno ancora capito”.

Secondo Caviglia, che presiede e dirige l’ospedale evangelico di Genova, sono necessari “formazione e aggiornamento del personale sanitario per la medicina di genere, in primis dalle università e per la ricerca”. Le donne, in ambito medico, sono meno testate degli uomini, anche se consumano più farmaci: “le disuguaglianze sociali si riflettono anche nella medicina. Per tanto occorre offrire una sanità più inclusiva”, ha detto Caviglia. E questo significa intendere “l’ospedale non solo come luogo di cura ma anche di prevenzione e informazione. Il mio sogno – che per ora si è interrotto a causa della pandemia – è proprio quello di realizzare ambulatorio di medicina di genere”.

Sempre a proposito di strutture e servizi per le donne, la dottoressa Bruno ha spiegato come “i consultori sono l’unica struttura rimasta aperta durante tutta la pandemia”. Ma la strada da fare è ancora lunga: “manca l’aspetto psico-sociale, non ci arrendiamo all’ospedalizzazione ma servirebbe assumere assistenti sociali. La collaborazione del sociale è fondamentale”. Anche per la psicologa Di Berto Mancini “è importante essere presenti nel territorio, ovunque e sempre più diffusamente. Raramente le donne accedono in consultorio e verbalizzano le violenze subite: per leggere oltre le righe servono una formazione specifica e una rete tra servizi. C’è stato un attacco politico non indifferente a psicologi ed esperti di questi servizi. E il consultorio dovrebbe essere una “casa delle donne”, a tutto tondo”.

Esiste – ricordiamolo nuovamente – d’altra parte una linea telefonica gratuita e attiva 24 h su 24 che accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking: è il numero 1522.

Può bastare? Per la psicologa servirebbe anche “una maggiore diffusione, una maggiore presenza, un approccio basato sulla multidisciplinarietà, con più contatti tra i vari centri e servizi,e maggiore collaborazione. Non dobbiamo inoltre aver paura di accompagnare le donne anche fisicamente nei luoghi. Ci vogliono però anche assunzioni, che non siano a tempo determinato perchè queste relazioni hanno bisogno di fiducia e costanza. Serve un grosso impegno politico ed economico”.

Un impegno che le chiese protestanti avrebbero insito nel loro DNA. “La parola salute deriva da salis, che significa salvezza e completezza – ha ricordato la teologa Elizabeth Green -. Le guarigioni operate da Gesù – senza discriminazione di genere – sono segno della venuta del regno, della presenza di Dio nel mondo. Le chiese devono dire che una società in cui la violenza maschile è stata eliminata è segno del regno di Dio”.

Il pastore Daniele Bouchard ha ribadito poi l’attenzione della chiesa valdese nel costruire una sensibilità su questo tema: “aiutare gli uomini a cambiare è possibile ed è un obiettivo che ci si deve porre”. Bouchard ha sottolineato in particolare il lavoro di due associazioni: ReliveMaschile plurale.

Cosa si può fare dal punto di vista culturale? Per la pastora Goss, è necessario “Organizzare incontri informativi online. Dobbiamo e possiamo diffondere il pdf del quaderno della FDEI e usarlo nelle nostre attività, per rendere le persone più consapevoli all’interno delle comunità, e anche per intercettare i bisogni. La consapevolezza sull’autodeterminazione della donna – garantita dalle nostre leggi – non è avanzata ovunque, in tutta Italia. A livello di rapporti ecumenici c’è un grosso lavoro teologico da fare. Liberazione vuol dire cura della persona, della donna, di tutta la sua vita”.

Su questi temi “come coinvolgere i giovani?”, ha chiesto al termine dell’incontro Claudio Paravati.

Secondo Barbara Caviglia “c’è un grande problema che riguarda proprio le giovani generazioni. La pandemia ha fatto purtroppo fare un salto indietro della condizione della donna di decenni. Più di un milione di ragazze sono NEET, non studiano né lavorano, e questo significa che non hanno nemmeno alcuna possibilità di emancipazione. Anche per questo, c’è molto bisogno di presenza, di far sentire la nostra voce”. “L’assenza dalle scuole soprattutto – ha aggiunto Bruno – sta tagliando i ponti con le nuove generazioni”. “Il Covid ha aggravato una situazione pre esistente”, ha confermato Di Berto Mancini. “Questa è una società che ha dissociato le emozioni, che non induce a sentirsi, a pensarsi, a riflettere su ciò che si fa. Speriamo che questa pandemia che obbligherà a un nuovo assetto induca a una riunificazione di questi due aspetti così distinti nelle nuove generazioni, che si comportano da adulti senza associarvi emozioni adeguate”. “La questione della trasmissione dei saperi e delle pratiche alle nuove generazioni è centrale – ha aggiunto Green – , i giovani sentono moltissimo questi temi e ci lavorano. Penso che la sfida sia proprio questa: i giovani svilupperanno le loro categorie, che non sono necessariamente le nostre”. Una responsabilità quella “non di voler trasmettere e insegnare da una cattedra ciò che abbiamo imparato ma di ascoltare, senza paternalismo, in uno scambio paritario, entrando in relazione” con ragazzi e ragazze, condivisa dal pastore Bouchard.

La fede, infine, che può cambiare la prospettiva dominante, anche rispetto all’educazione. “Ascolto, accompagnamento ed educazione all’affettività, su questo si deve e si può basare il lavoro di prevenzione”, ha concluso Gabriela Lio.


L’agenzia NEV riproporrà in 16 puntate, da oggi, 25 novembre, Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, fino al 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani, il fascicolo “16 giorni contro la violenza” della Federazione delle donne evangeliche in Italia. Qui la prima puntata, nella quale si parla di medicina di genere. 

Qui sotto il video integrale del webinar odierno promosso dalla FDEI:


Altri link utili:

Donne in rete contro la violenza

Elenco dei consultori