Sergio Manna, dal servizio sul pulpito al volontariato per il 118

Il pastore valdese e cappellano clinico Sergio Manna è impegnato, oltre che nel ministero pastorale, anche sulle ambulanze. Una vocazione che proviene da un’interpretazione evangelica della cura

Sergio Manna

Roma (NEV), 2 dicembre 2020 – Il pastore valdese Sergio Manna è cappellano ospedaliero e formatore per la pastorale clinica. Da un mese, oltre alle consuete attività di ministero pastorale, presta anche servizio volontario per il 118 (nel pinerolese, in Piemonte). Dopo aver svolto uno specifico corso, e dopo aver superato l’esame il 31 ottobre (data simbolica, come dice lo stesso Manna all’agenzia NEV), ha fatto il suo primo ingresso in servizio il 1° novembre.

Di questa esperienza ha parlato in una recente intervista su RaiRadio1, al Culto evangelico (si può riascoltare qui, dal minuto 11.45). Nel notiziario, curato dal pastore Luca Baratto, Manna racconta come concilia il servizio alla Parola sul pulpito con il servizio volontario sulle ambulanze del 118.

“Ho imparato tante cose – dice Manna –, a valutare le condizioni dei pazienti, a supportate e ripristinare le funzioni vitali di base, come la respirazione e la circolazione. A utilizzare un defibrillatore in caso di arresto cardiaco, erogare ossigeno, tamponare ferite, arrestare emorragie, immobilizzare arti fratturati, supportare psicologicamente le persone. E anche a mettere in barella e trasportare in sicurezza le persone traumatizzate”.

In servizio per il 118 può capitare di tutto, spiega il pastore: “casi di ictus. Infarti, incidenti stradali o sul lavoro. Intossicazioni da alcool, da sostanze chimiche, da droga o da farmaci. Ma anche tentativi di suicidio e, ovviamente, i casi covid. Ci sono 20 codici che descrivono i diversi tipi di intervento”.

Fra le persone volontarie che si occupano dei soccorsi, racconta ancora Sergio Manna, “ci sono valdesi, cattolici, buddisti, atei, agnostici. Per tutti è interessante la mia presenza, sono incuriositi da questa mia scelta e ho sempre avuto una buona accoglienza. Si tende a pensare ai pastori come uomini e donne della parola, più che dell’azione. Pensando a Gesù nei vangeli, oltre che predicare e insegnare, Gesù passava molto del suo tempo a curare le persone. Questo, per quanto mi riguarda, è parte integrante della mia vocazione”.

Nell’intervista per il Culto radio, Manna parla anche di negazionismo, invitando chi pensa che il covid non esista a farsi avanti: “È una forma di autodifesa da una realtà che non piace; inviterei chi nega la realtà a trascorrere una giornata insieme a noi, per rendersi conto di quanto è drammatica la situazione”.

Di pandemia il pastore Sergio Manna ha parlato anche in un’altra intervista. “L’emergenza sanitaria ci stimola a diventare creativi per manifestare la nostra vicinanza e solidarietà a chi ne ha bisogno” ha detto Manna su Interris.it, rispondendo a Giacomo Galeazzi. Solidarietà, esclusione, empatia, egoismo e povertà sono alcuni dei temi trattati nell’intervista in cui il pastore parla anche di frustrazione: “Una delle cose più frustranti che ho vissuto da pastore durante la prima ondata della pandemia è stato il fatto di celebrare dei funerali senza poter stringere la mano. O dare un abbraccio ai familiari dei defunti. Un abbraccio comunica in modo percepibile vicinanza, partecipazione, solidarietà. Dovervi rinunciare è stato difficile. Ma era necessario farlo. Perché di questi tempi, paradossalmente, il non abbracciare è un atto di cura. […] L’importante è non chiudersi in se stessi. Il riformatore Martin Lutero parlava di ‘homo incurvatus in se’ (uomo curvato su se stesso) per definire l’opposto della solidarietà, cioè quella condizione nella quale l’essere umano è talmente curvato su se stesso da vedere soltanto la propria pancia, i propri bisogni e nient’altro che quelli. E questo è il peccato”.