Nord Irlanda, “Rispettare identità di tutti. Non vogliamo che i giovani si abituino alla violenza”

Intervista con Nicola Brady, segretaria generale dell'Irish Council of Churches, a proposito dell'escalation di violenze nell'Irlanda del Nord, negli ultimi giorni e alla vigilia dell'anniversario degli Accordi del Venerdì Santo, firmati il 10 aprile del 1998

Roma (NEV), 9 aprile 2021 – Settima notte di proteste a Belfast, in Irlanda del Nord, durante la quale sono stati usati idranti contro i manifestanti. Le tensioni non accennano a placarsi, nonostante gli appelli alla calma lanciati ieri dal premier britannico Boris Johnson e dall’omologo irlandese Micheál Martin, leader del partito di centrodestra irlandese Fianna Fail. “La via da seguire – hanno dichiarato in un comunicato congiunto – è il dialogo e il lavoro delle istituzioni dell’Accordo del Venerdì Santo”. Accordo del quale proprio domani si celebrano i 23 anni, fu infatti firmato il 10 aprile del 1998 e segnò profondamente il percorso verso la pace nella regione. Nell’anno in cui tra l’altro si celebra il centenario della Partition, la divisione dell’Irlanda tra nord e sud. Ne abbiamo parlato con Nicola Brady, segretaria generale del Consiglio delle chiese d’Irlanda, l’Irish Council of Churches, di base a Newry, una delle città più antiche dell’Irlanda del Nord, a 60 chilometri da Belfast.

Nicola Brady

Com’è la situazione? Che atmosfera si respira in queste ore? 

“Ci sono state sette notti di violenze, le più gravi delle quali a Belfast ma non solo, ci sono stati momenti di tensione anche in altre città. Violenze che sono principalmente contro le forze dell’ordine ma anche tra membri delle comunità ed opposte fazioni. La situazione è molto preoccupante, per diversi motivi, stiamo vivendo momenti che ci ricordano giorni molto bui, giorni che pensavamo di avere alle spalle. C’è poi il timore per la pandemia, e tutto ciò che il covid comporta in termini di pressione sui servizi pubblici. Vediamo ragazzini molto giovani, teenagers, che sono stati fermati in questi giorni durante i disordini e questa è una delle cose che più ci spaventa. Rischiano molto, di farsi male e far male agli altri, anche di finire in carcere, ma sembrano non pensare al loro futuro, alla loro comunità ma nemmeno alla loro vita, non avere speranza. Per questo cerchiamo di fare pressione sui leader politici per una risposta unitaria a tutto ciò e sentiamo come chiese la responsabilità di esporci e far sentire la nostra voce per porre fine a quanto sta accadendo”.

Domani, 10 aprile, sarà l’anniversario del Good Friday Agreement, l’Accordo del Venerdì Santo siglato nel 1998: pensa che la pace – e quanto stabilito da quel momento storico – sia davvero a rischio?

“C’è un tema di identità. La decisione di tenere l’Irlanda del Nord all’interno dell’Ue ed evitare di rimettere nuove frontiere, dopo la Brexit, è stata vista da alcune comunità, dai loyalist in particolare, come una perdita di identità. Di conseguenza hanno ritirato il loro sostegno all’accordo del Venerdì Santo. Questo è molto preoccupante e le violenze sono un pericolo reale, sia in termini individuali che collettivi. Come chiese vogliamo ricordare a tutti cosa è stato raggiunto con quegli accordi storici, che hanno rappresentato la fine della violenza. Ma siamo anche molto chiari: la riconciliazione non è finita con la firma di quegli accordi. Continuiamo a lavorare, quindi, per un percorso di pace. Sappiamo che ci sono dei gap significativi in termini di comprensione ed elaborazione, ma anche come disuguaglianze socioeconomiche che impattano sulle persone. Pensiamo alla disoccupazione, per esempio. Occorre tornare allo spirito di quell’accordo – un momento di grande speranza per il mondo intero -, e a un tavolo in cui si dialoghi e occorre dire a tutte le parti in causa “la tua identità sarà sempre rispettata”, che tu ti consideri irlandese, britannico o entrambe le cose o nessuna delle due. Tutti meritano di essere inclusi e compresi”.

Quale può essere il contributo delle chiese?

“Siamo molto impegnati nella commemorazione e nella riconciliazione rispetto a quanto il nostro Paese ha attraversato, ai traumi che il conflitto ha portato. Sono ancora in corso diversi procedimenti giudiziari ma manca o andrebbe implementata una commissione e strategie ad hoc per l’elaborazione del nostro passato – e come chiese supportiamo le comunità e la popolazione in questo percorso. Le tante vittime e i sopravvissuti delle violenze degli anni scorsi sono i nostri primi alleati nel lavoro che cerchiamo di fare soprattutto coi più giovani. Ci aiutano a far capire ai ragazzi e alle ragazze che è possibile pensare il futuro in modo diverso, nel rispetto dell’identità di tutti. La sfida principale è questa: fare in modo che i più giovani non si abituino a vivere in un clima di violenza, come hanno purtroppo dovuto fare le generazioni che li hanno preceduti”.

Una delle ragioni dei disordini è la rabbia di alcuni gruppi di unionisti per la recente decisione della polizia locale di non procedere penalmente contro la violazione delle restrizioni anti Covid da parte di centinaia di reduci e dirigenti repubblicani (inclusa Michelle O’Neill, vice prima ministra del governo nordirlandese e leader del partito del Sinn Féin) in occasione del funerale di uno storico ex esponente di spicco, Bobby Storey. Cosa ne pensa? 

“E’ sicuramente una delle ragioni per le quali è montata la rabbia verso la polizia e i vertici delle forze dell’ordine (Arlene Foster, primo ministro dell’Irlanda del Nord e leader del Partito Unionista Democratico, aveva inizialmente chiesto le dimissioni del capo della polizia Simon Byrne, ndr). Organizzare i funerali in questo periodo è stato ovviamente un tema molto complesso e delicato per tutti. Ma la preoccupazione principale è che si inneschi ora un meccanismo per il quale chiunque si senta libero di non rispettare le restrizioni contro il Covid. Questo non è e non sarebbe giusto. E per quanto riguarda il rapporto con la polizia vogliamo ricordare che è possibile criticare il loro operato ma che la violenza non è mai un modo per incanalare questo dissenso. E che abbiamo molte esperienze virtuose di rappresentanti delle forze dell’ordine che hanno lavorato ogni giorno, in questi mesi, per aiutare la popolazione, distribuire pasti e sostenere le fasce più vulnerabili”.


Per approfondire:

Irlanda-Regno unito, a cento anni dalla «Partition», da il manifesto 

Northern Ireland clashes reflect loyalists’ fear of marginalisation, da The Guardian

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