Paolo Naso: Speranza mediterranea

Roma (NEV), 11 novembre 2015 – Prosegue la rubrica di interviste e schede dell’Agenzia NEV in vista della XVII Assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che si terrà dal 4 all’8 dicembre prossimi a Pomezia (Roma). Questa settimana pubblichiamo una scheda sul progetto “Mediterranean Hope” della FCEI, e un’intervista a Paolo Naso, responsabile delle relazioni internazionali del progetto, nonché coordinatore della Commissione studi della FCEI.

Paolo Naso: Speranza mediterranea

Il progetto “Mediterranean Hope” (MH) nasce a maggio del 2014 con un osservatorio sulle migrazioni mediterranee a Lampedusa. Successivamente a Scicli (RG) viene aperta una Casa delle culture, un luogo di accoglienza per soggetti migranti particolarmente vulnerabili, ma anche di scambio con e per la cittadinanza. Oggi MH è in procinto di aprire corridoi umanitari dal Libano e dal Marocco. Tanti tasselli in un unico progetto. Come mai questo approccio?
Perché in pochi anni è cambiato radicalmente il quadro delle migrazioni dal Nord Africa verso l’Italia e l’Europa. Avevamo avuto un avvertimento nel 2011 quando, in pochi mesi, il nostro Paese dovette fare fronte a un massiccio arrivo di profughi che fuggivano a seguito della destabilizzazione politica prodotta dalle cosiddette primavere arabe e dalle controrivoluzioni che erano seguite. Non capimmo. Pensammo che si trattasse di un fenomeno transitorio mentre era l’avvisaglia che un intero sistema internazionale stava crollando in vaste regioni del Nord Africa e del Medio Oriente e che, come sempre accade in questi casi, avrebbe determinato una nuova massiccia ondata di flussi migratori. Il tragico punto di svolta fu il 3 ottobre 2013 quando a pochi metri dalla costa di Lampedusa morirono 368 profughi eritrei: fu in quell’occasione che l’Italia – non ancora l’Europa – capì che eravamo di fronte a un fenomeno nuovo che andava compreso e gestito con strumenti legislativi e politiche di accoglienza diverse da quelli tradizionali. Il progetto MH nacque in quel clima, e non a caso si è sviluppato per gradi: un osservatorio sulle migrazioni mediterranee a Lampedusa, un Centro interculturale di accoglienza a Scicli (RG) e, più recentemente, i “corridoi umanitari” per garantire passaggi in sicurezza e combattere la piaga del traffico umano.

MH sta interessando le nostre chiese sorelle in Europa?

Pieno sostegno per le nostre iniziative a Lampedusa e a Scicli; qualche perplessità iniziale, da parte di alcune chiese ed organismi, sulla proposta dei “corridoi umanitari”. Noto con piacere che il 15 settembre la Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME), la Chiesa evangelica in Germania (EKD), la Caritas Internazionale e Eurodiakonia hanno diffuso un documento che assume e rilancia la proposta dei “visti umanitari” che è il dispositivo giuridico che MH aveva adottato già dal settembre del 2014. Quella delle chiese evangeliche italiane è una piccola realtà e gli esami sono più severi che per altri. Ma l’importante è passarli e ora il consenso e il sostegno sono generalizzati. Per noi è un punto di forza importante che si unisce al sostegno materiale ricevuto da varie chiese e associazioni ecumeniche: vorrei citare, tra le altre, la Chiesa evangelica della Vestfalia, la Chiesa riformata americana, la Comunione mondiale delle chiese riformate, agenzie diaconali olandesi e svizzere. Ma quello che chiediamo ai nostri partner europei è soprattutto il sostegno politico che consiste nell’adottare questo modello e proporlo ai propri governi così da trasformare una piccola “buona pratica” in una strategia di accoglienza e di contrasto al traffico degli esseri umani.

Dopo essere andato in Marocco, lei è reduce da una visita nei campi profughi siriani in Libano. Qual era l’obiettivo della sua missione?
Insieme alla Comunità di Sant’Egidio, e in accordo con le ambasciate italiane, stiamo lavorando per l’apertura di corridoi umanitari verso l’Italia. L’idea è quella di permettere a profughi particolarmente vulnerabili di arrivare in sicurezza nel nostro paese grazie all’ottenimento di visti temporanei per “motivi umanitari”, senza quindi dover ricorrere a scafisti e trafficanti rischiando la vita su delle imbarcazioni di fortuna. In Libano abbiamo visitato dei campi profughi alla frontiera con la Siria in cui sono relegate da quattro anni migliaia di famiglie che sopravvivono in condizioni disastrose, al di sotto di ogni minimo standard di diritti umani. Grazie alla prossima istituzione di canali specialmente dedicati, speriamo di poter far arrivare nei prossimi mesi un migliaio di bisognosi. Il nostro per ora è un progetto pilota, una sperimentazione, ma è sicuramente un traguardo politicamente significativo reso possibile dal consenso del Governo italiano.

Come si sono svolte le trattative, e soprattutto, a quando l’arrivo del primo profugo in Italia con regolare visto per motivi umanitari?

Gli interlocutori diretti sono stati i ministeri dell’Interno e degli Esteri. La trattativa è stata facilitata dal fatto che il ministro Paolo Gentiloni ha sempre mostrato interesse al progetto: a settembre, ad esempio, a Tirana nel corso di un incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, ha affermato che “occorre realizzare un pacchetto di iniziative che prevedano anche corridoi umanitari e ingressi regolari, con il sistema della sponsorship”. Esattamente la nostra proposta. Le difficoltà sono quindi soprattutto tecniche e non sono di poco conto: si pensi alla complicazione per coloro che hanno il visto di raggiungere in sicurezza l’aeroporto; o al fatto che alcuni dei profughi non hanno documenti di alcun tipo. Tuttavia si tratta di questioni in parte già superate e quindi lavoreremo con tutte le nostre energie perché i primi contingenti possano arrivare in Italia prima di Natale.

SCHEDA MEDITERRANEAN HOPE